“Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere”, cantavano i The Rokes negli anni sessanta.
Senza alcuna melodia ad accompagnarlo, lo stesso messaggio è stato indirizzato a Facebook dall’India, che ha bloccato uno dei più progetti più cari al social network e al suo creatore, Mark Zuckerberg. Nel dicembre scorso l’autorità delle comunicazioni del paese asiatico (TRAI) ha obbligato Facebook e il suo partner Reliance Communications a interrompere il servizio “Free Basics”, avviato nel paese da oltre anno.
Esso prevedeva la possibilità di accedere gratuitamente a una serie di siti selezionati, con un’offerta su misura per vaste porzioni della popolazione che non è ancora in Rete. Tuttavia, se un utente avesse voluto visitare portali al di fuori della rosa ristretta di Free Basics, come per es. Google o YouTube, avrebbe dovuto pagare. Una sorta di tariffario sulla navigazione in Rete che non è andata giù al TRAI, che ha paventato anche il rischio di un mercato sbilanciato in favore di soggetti forti a discapito di realtà più piccole e innovative.
La decisione indiana ha ravvivato il dibattito sulla “net neutrality”. Di cosa si tratta? La questione è semplice: è giusto che la Rete sia fruibile allo stesso modo indipendentemente da contenuti e da provider oppure è opportuno porre corsie preferenziali e tariffe aggiuntive alla navigazione?
Il dibattito tra favorevoli alla neutralità, difensori di un Internet libero così com’è oggi, e contrari, che vedono in essa un laccio all’innovazione e alla proposta di servizi “premium”, ha già avuto sviluppi importanti negli Stati Uniti e, come detto, in India. Sicuramente esso costituirà uno dei temi più caldi nel mondo della tecnologia.
Stefano Summa
@Stefano_Summa