«Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha parlato con il presidente della Russia, Vladimir Putin, a proposito della crescente escalation militare sui confini dell’Ucraina. Biden è stato chiaro, se la Russia continuerà nei suoi piani di invasione dell’Ucraina, gli Stati Uniti, insieme ai propri alleati e partner, risponderanno in maniera decisa e imporranno rapidi e severi costi alla Russia» questo è quanto si legge da un comunicato stampa della Casa Bianca in merito all’esito dei recenti colloqui avvenuti fra il presidente americano Biden e il gerarca russo Vladimir Putin.

Venti di guerra dall’est Europa e suona l’allarme in tutto il mondo. Washington ha chiesto a tutti i cittadini americani attualmente in Ucraina di lasciare il prima possibile il paese, sospettando un’invasione russa imminente entro le prossime 48 ore. Anche la Farnesina ha invitato i cittadini italiani ad abbandonare l’ex repubblica sovietica, minacciata dai 100000 soldati russi in attesa lungo il confine. «Se un attacco russo all’Ucraina procede, è probabile che inizi con bombardamenti aerei e attacchi missilistici che potrebbero ovviamente uccidere i civili. Qualsiasi americano in Ucraina dovrebbe partire il prima possibile e comunque nelle prossime 24-48 ore» ha detto Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca a Washington.

Mosca: «Isteria americana», Kiev «niente panico», ma il mondo lascia l’Ucraina.

«Isteria americana al culmine» è il commento di Yuri Ouchakov, consigliere diplomatico di Putin, sostenendo che la Russia non ha alcuna intenzione di avviare un conflitto armato in Ucraina. Affermazione che il Cremlino continua a ripetere da mesi ormai, nonostante l’evidente pressione militare della Federazione lungo i confini ucraini e il sostegno alle forze separatiste del Donbass. «La Russia non ha intenzione di invadere l’Ucraina» ripete Serghei Lavrov, ministro degli Affari Esteri russo, accusando l’Occidente di avere «ignorato» le richieste di Mosca sulla sicurezza, dando la possibilità all’Ucraina di Zelensky di aderire alla Nato. Ciò che Mosca chiede, a suo avviso, sono le garanzie per la sua sicurezza nazionale minacciata dall’espansionismo dell’Alleanza occidentale.   «In questi ultimi giorni e queste ultime ore la situazione è stata portata a livelli assurdi – sostiene Ouchakov – gli americani hanno addirittura annunciato la data dell’invasione russa. Non capiamo che informazioni false sulle nostre intenzioni vengano trasmesse ai media» ha concluso il diplomatico.

Di certo anche Kiev si è detta preoccupata dagli allarmi occidentali, definiti dal presidente Volodymyr Zelensky come «destabilizzanti», mentre al contrario il governo ha invitato i cittadini a «restare calmi, uniti all’interno del Paese, evitare azioni che creino il panico». Diverso è il monito che giunge da Occidente, come Usa e Italia, anche Germania, Olanda, Spagna, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia e Danimarca invitano i propri cittadini a lasciare il paese, mentre numerose le ambasciate che ritirano il proprio personale, eccetto quello strettamente necessario, ad evacuare, fra queste anche il corpo diplomatico russo svuota le proprie sedi, fa sapere «per evitare possibili provocazioni».

Joe Biden e la sfida in Ucraina, un test per la leadership mondiale.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non sembrano intenzionati a mollare la presa. Dopo la fallimentare gestione Afghana, il cui onere è caduto sulle spalle dell’amministrazione attuale, Joe Biden vuole essere chiaro su questo punto: l’America non è debole e risponderà in caso d’attacco.  «L’’Ucraina – sottolinea il segretario di Stato Antony Blinken durante un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba – continua ad avere il sostegno duraturo e fermo degli Stati Uniti per la sua sovranità e integrità territoriale”, ha sottolineato il Dipartimento di Stato». Washington non arretrerà di un passo e difenderà il diritto dei paesi dell’Est a scegliere autonomamente la propria adesione al Patto Atlantico. Biden non è disposto a cedere a compromessi poiché l’umiliazione che ne conseguirebbe, nel caso di un arretramento della Nato per le pretese della Russia, sarebbe insostenibile. Le promesse fatte in campagna elettorale si sono rivelate amare sconfitte per Biden, ed ora che i Democratici rischiano di perdere tra i 20 e i 40 seggi alle prossime tornate elettorali di midterm, la crisi Ucraina diventa un difficile test per la sua presidenza che non può rischiare di fallire, pena il crollo definitivo dell’immagine americana di “leader” del mondo libero.

Il tentativo oggi è quello di non ripetere l’errore dell’ultima presidenza democratica, quella di Obama. quando i Russi riuscirono più o meno impunemente a ad annettere la Crimea appoggiando le forze separatiste del Donbas. A spiegarlo è Max Bergmann, analista ed ex funzionario del Dipartimento di Stato americano: «La crisi del 2014 ha chiarito molte cose. Quello cui assistiamo oggi è lo sforzo di organizzarsi al meglio, mandando un messaggio molto chiaro su quali sarebbero i costi di un’invasione per la Russia». L’espulsione della Russia dal G8 e le sanzioni economiche dell’epoca furono ben poca cosa. Una reazione così lieve, agli occhi di Biden, ha permesso alla Russia di spingersi oltre, rappresentando un grave pericolo alla stabilità del continente europeo. Lì dove 30 anni fa, con il crollo dell’Unione Sovietica, veniva acclamato il trionfo del modello politico-sociale ed economico americano, ora l’America è chiamata a difendere quella vittoria impedendo alla Russia di Putin di recuperare le vecchie aree di influenza.

L’Ue, la crisi energetica e il legami con la Nato. Il fallimento della diplomazia.

Discorso diverso invece per l’Unione Europea, terrorizzata da un possibile conflitto in casa e determinata a soluzioni pacifiche e diplomatiche. A rincarare la dose è la prospettiva energetica nella cui crisi l’Europa sembra destinata a sprofondare. L’Europa dipende dal gas che la Russia esporta, per questo la minaccia di inasprire le sanzioni previste ai danni di quest’ultima, rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio, come già i portafogli di tanti europei ed italiani sembrano rendersi conto. L’interruzione del progetto russo-tedesco del gasdotto Nordstream2, da sempre osteggiato dagli americani, ha lasciato insoddisfatta buona parte della classe politica tedesca che ora si domanda quale esito potrà avere la situazione.

In questa ottica si devono leggere i tentativi del cancelliere tedesco Olaf Scholz, e del presidente francese Emmanuel Macron. Quest’ultimo, in particolare, è volato a Kiev e a Mosca nel tentativo di risolvere l’escalation per vie diplomatiche. «Il dialogo – afferma il capo dell’Eliseo – è il mezzo principale per raggiungere stabilità e sicurezza in Europa». Aggiungendo che «la Francia ripone grandi speranze nei legami culturali e scientifici dei nostri paesi». L’obiettivo del presidente francese, nonché presidente di turno dell’Ue, era quello, non raggiunto, di convincere Putin a rimuovere una parte dei soldati che la Russia ha ammassato al confine con l’Ucraina nelle ultime settimane, come segno di distensione. Un disegno politico che rispecchia inoltre l’ambizione del presidente lanciato in campagna elettorale, e la necessità di rafforzare la propria immagine pubblica di fronte ai suoi elettori. Washington dal canto suo, infatti, ha mantenuto grandi riserve sull’esito delle azioni diplomatiche francesi definite «fallimentari» ancor prima che Macron tornasse a Parigi.

La rottura dei rapporti fra Ue e Russia non può che favorire l’America, preoccupata che il Vecchio Continente possa riconoscersi forte ed indipendente, in grado di relazionarsi autonomamente con il gigante euroasiatico, lasciando fuori l’America da questi possibili giri di valzer. In questo modo la crisi Ucraina diventerebbe la forgia in cui ritemprare i legami del Patto d’Acciaio; un’occasione per rinnovare i vecchi affetti e, forse, per evitarne di nuovi.

Un test, dunque, quello sull’Ucraina sotto tutti i punti di vista. Lo sa bene Biden e lo sa bene la Cina che vede nel battibecco occidentale una succulenta occasione per fare un passo avanti nello scacchiere geopolitico mondiale.

Fra i due litiganti il terzo gode. La Cina guarda Kiev e vede Taipei

Difatti l’asse Pechino e Mosca ha visto un riavvicinamento in questo periodo con le dichiarazioni di Xi Jinping a sostegno delle rivendicazioni del leader russo in chiave antiamericana. Non è un caso, d’altronde, che il primo leader straniero ad incontrare Xi Jinping negli ultimi due anni, in occasione dell’apertura ai Giochi invernali di Pechino, sia stato proprio Vladimir Putin. Con un volume che si aggira intorno ai 129 miliardi di euro annui, Pechino è il principale partner commerciale di Mosca e se le dure sanzioni previste contro la Russia, in caso di invasione, dovessero essere imposte, di certo la dipendenza Russa nei confronti del suo alleato orientale si accrescerebbe enormemente. Pechino dal canto suo si è detta, solo a parole, pronta a sostenere la Federazione russa con un sistema di prestiti e pagamenti alternativi, qualora fossero vietate alle aziende russe gli sbocchi occidentali. Ma la dimensione del conflitto occidentale è solo una prova per la Cina, vuole sapere se l’America manterrà la propria parola, se sarà in grado di difendere l’indipendenza nazionale ucraina dalle grinfie della potenza orientale, attenta ad ogni segnale di debolezza che possa indicare il via libera alla ripresa dell’agognata Taiwan. L’isola, infatti, al centro degli interessi del Dragone da decenni e primo tra i pensieri di Xi Jinping, rimarrebbe un boccone fin troppo facile per le voraci fauci del Dragone, se non fosse per l’appoggio americano che da anni frena Pechino nella riconquista. Bloccata dal risanare quello che considera una ferita aperta nel tessuto territoriale della Nazione, la Cina è costretta ad osservare l’impudente isola di Formosa vantare una propria e illegittima, ai loro occhi, autonomia ed indipendenza. Un segnale di debolezza da parte degli Usa potrebbe significare il via libera tanto atteso. Di certo Xi Jinping sa che Kiev non è Taipei, ma un possibile conflitto fra Mosca e Washington vedrebbe Pechino come proverbiale terzo litigante pronto a godere i frutti di un ordine mondiale ora più che mai a sua disposizione.

 

Daniele De Camillis

 

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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