Devastante il terremoto che ha colpito l’Afghanistan, due giorni fa, nella notte fra il 21 e il 22 scorso. Gli esperti parlano di una magnitudo di circa 5.9, mentre aumentano a dismisura il numero delle vittime. 1500 i morti ed oltre 2000 feriti, è il bilancio al momento ufficiale secondo le autorità locali, bilancio tristemente destinato ad un rapido incremento.

L’epicentro della scossa è stato individuato nella regione di Khost, a 44 km dall’omonimo capoluogo a circa 51 km di profondità, questi i dati rilasciati dallo Us Geological Survey. Avvertito per un raggio di oltre 500 km, colpendo i già poveri distretti di Bayan, Ziruk Naka e Gayan, dove, secondo la testa giornalistica Etilaat- e- Roz, un intero villaggio è stato raso al suolo. «Tutte le case sono distrutte e ora abbiamo bisogno di tende e di tutte le altre cose necessarie» commenta affranto Dalil Khan, sopravvissuto al terremoto.Nel frattempo i soccorsi fanno fatica ad arrivare, data la locazione impervia di alcuni villaggi e le pessime condizioni delle infrastruttura stradale del paese.

Kabul chiede aiuto, la preoccupazione della comunità internazionale

«Chiediamo alle agenzie umanitarie di fornire soccorsi immediati alle vittime del terremoto per prevenire una catastrofe umanitaria» ha twittato il portavoce del governo, Bilal Karim, poche ore dopo la catastrofe. Il governo talebano, che dallo scorso agosto ha ripreso il controllo del Paese, non ha fatto nulla per venire incontro alle richieste occidentali, relative alla salvaguardia dei diritti della popolazione, soprattutto le donne che hanno visto in poco tempo, la progressiva erosione di quell’emancipazione da poco conquistata. Tuttavia, fa notare Luca Lo Presti, presidente di Pangea onlus, associazione impegnata da 20 anni in Afghanistan, «una qualche forma di collaborazione con le ong deve essere facilitata perché la popolazione non c’entra nulla con le strategie politiche e con i governi integralisti, non può morire di mancanza di diritti e di fame». Colpisce infatti la decisione delle autorità talebane di aprirsi all’aiuto della comunità internazionale, segno della calamità dell’evento con il quale sono costretti a fare i conti. «Il governo purtroppo è colpito da sanzioni internazionali – afferma Abdul Qahar Balki, alto funzionario talebano – e non è finanziariamente in grado di assistere la popolazione come sarebbe necessario. Le agenzie internazionali stanno prestando aiuto, come anche i paesi confinanti della regione e altri paesi del mondo, cosa per cui ringraziamo, ma bisogna aumentare di molto gli sforzi di assistenza perché questo è un sisma devastante quale non avveniva da decenni».

«l mio cuore è con il popolo che sta già vacillando per l’impatto di anni di conflitto, difficoltà economiche e fame» ha affermato Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, assicurando l’impegno delle Nazioni Unite, nonostante la mancanza di un appello ufficiale rivolto all’Onu da parte del governo talebano, il quale però allo stesso tempo non ha in alcun modo ostacolato l’accesso alle aree colpite ai mezzi di soccorso ed ai volontari.

Il disastro di un Paese dimenticato dall’Occidente

L’Afganistan non è nuovo ad episodi sismici di questa portata, ultimo dei quali verificatosi nel 2015, tuttavia mai le condizioni del paese erano state così precarie ed inadatte ad affrontare una tale emergenza.

Infatti, quello che il sisma ha colpito è un paese già in precedenza ridotto alla fame, dove oltre il 60 % della popolazione deve la sua sopravvivenza agli aiuti umanitari, ora assai più difficili dopo la presa di potere dei taleb, non riconosciuta dall’Occidente. Ai minimi storici il valore della moneta locale, mentre picchi di inflazione hanno colpito le risorse alimentari del Paese. La malnutrizione è acuta e più della metà della popolazione, secondo i dati del World Food Programme dell’Onu, soffrono la fame. In stato di emergenza 27 delle 34 provincie vi è malnutrizione acuta, soprattutto fra i bambini al di sotto dei cinque anni e fra le donne incinte. Interventi salvavita che si aggirano intorno ai 220 milioni di dollari al mese. Cifra astronomica se paragonata alle possibilità economiche di un paese, come l’Afghanistan, messo in ginocchio da decenni di guerra e conflitti, ma un granello di sabbia se paragonato ai miliardi di dollari buttati dalle potenze mondiali per la corsa agli armamenti – quasi 10 000 volte quello che servirebbe per poter garantire cibo e acqua alla popolazione afghana tutta. «18 camion sono in movimento nelle aree colpite dal terremoto, trasportando forniture di emergenza, tra cui pacchi di biscotti ad alto contenuto energetico e unità mobili di stoccaggio» afferma in una nota il Wfp, dichiarando l’intento di «fornire cibo di emergenza inizialmente a 3 mila famiglie – dicendosi – pronto ad aumentare il suo sostegno dopo i risultati delle verifiche in corso». Ad ogni modo, secondo Lo Presti, l’Afghanistan è un Paese che il mondo sta dimenticando, lamentando il disinteresse per le terribili condizioni della popolazione civile e per la mancanza di politiche rivolte seriamente alla salvaguardia dei diritti, soprattutto delle donne, sistematicamente prevaricati e dimenticati dal governo talebano corrente. Forse più che un difetto di memoria, o il segno di uno squallido disinteresse, è il nostro senso di vergogna che ha spinto l’Occidente a girare il volto da una altra parte, scossi, sennonché, da eventi così catastrofici che costringono il nostro sguardo a tornare a vedere l’orrore al quale abbiamo concorso.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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