«Il rispetto delle donne nei limiti dell’Islam» questa era stata la promessa fatta dal portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid durante la prima conferenza stampa tenutasi nel palazzo presidenziale, dopo la presa di Kabul. Una promessa, quella dei talebani, che non sembrano intenzionati a mantenere. La proibizione alle donne di lavorare fuori casa, l’obbligo di uscire accompagnate da un mahram, parente stretto maschile come un padre, un fratello o un marito, le restrizioni imposte all’educazione femminile e il recente divieto alle donne di poter praticare sport sembrano rivelare le reali intenzioni del regime integralista, al di là dei tentativi di rassicurare la comunità internazionale.

La lotta non finisce: quando i leoni fuggono le leonesse combattono

Sono le donne in effetti l’unica reale forza d’opposizione rimasta in Afghanistan contro i talebani. La caduta del Panshir, nonostante la resistenza di alcune aree di combattimento, ha consegnato l’intero paese sotto il controllo degli studenti di Allah. A nulla è valsa la preparazione e l’addestramento americano dell’esercito afghano, la cui rapida dissoluzione è stata una sorpresa per tutti, talebani inclusi. Nonostante alcuni coraggiosi soldati abbiano mantenuto la loro posizione, dando vita a piccole sacche di resistenza, i più, demoralizzati e disorganizzati, hanno abbandonato le proprie armi regalando l’Afghanistan alle avide mani dei talebani. Questo però non è vero per le donne. «Viva la resistenza dei valorosi contro la dittatura» è il grido delle donne di Kabul, di Herat, di Kandahar e di quelle residenti in tante altre province del Paese. Manifestazioni e cortei di protesta si sono organizzati negli ultimi giorni per mostrare a tutti, che nel paese, c’è ancora forza e volontà di combattere, che il regime non potrà piegare così facilmente. «Non siamo più le donne di tre decadi fa. Non staremo in silenzio. Vogliamo un Afghanistan diverso» affermano le manifestanti che affollano le vie della capitale durante le numerose manifestazioni che hanno avuto luogo durante la scorsa settimana. «Abbiamo cominciato e non intendiamo fermarci. Cercheremo di mobilitarci ogni giorno, o comunque almeno un paio di volte la settimana, faremo presidi, senza tregua, in più località contemporaneamente. Vogliamo far sapere agli afghani che non è più il momento di subire senza reagire e cerchiamo la solidarietà internazionale. Tante tra noi sono pronte a mettersi in gioco, anche a pagare con la vita» spiega Fawzia Wahdat, giovane attivista afghana, una dei leader del corteo del 4 settembre scorso. La risposta dei talebani, per quanto violenta e aggressiva, non nasconde una certa sorpresa. L’Afghanistan non è più il paese di un tempo e la società che si trovano davanti è complessa e variegata. Le giovani donne non hanno conosciuto l’oppressione del regime afghano precedente e non sono disposte ad abbandonare i diritti di base faticosamente acquisiti, mentre molti talebani, provenienti dalle zone rurali, non sono abituati a questo genere di reazioni, verso le quali sono «impreparati» e non «addestrati per far fronte alle rivolte della società civile», affermano gli stessi portavoce dell’emirato. Le contestazioni sono politiche, sociali e culturali. Non solo contro l’imposizione per il burqa o la libertà di poter studiare e lavorare, le donne scendono in piazza anche per un Afghanistan libero e democratico, nelle quali la componente femminile non sia più relegata al suo tradizionale ruolo passivo, subordinata alla decisione autoritaria degli uomini, ma inizi a essere parte attiva nella vita del paese.  «Libertà. Libertà. Le donne devono poter essere anche ministre e avere ruoli di responsabilità. Non potrete costringersi a tacere» affermano in coro le manifestanti di sabato scorso lungo le strade di Kabul. In piazza accanto alle donne pochi uomini sono scesi per manifestare il proprio dissenso al regime dei talebani. Anche gli uomini sono chiamati infatti non solo a difendere il diritto alla propria libertà e vita, ma anche quello delle loro mogli, delle loro madri e delle loro sorelle. La battaglia delle donne non deve essere combattuta solo dalle donne. La difesa dei diritti civili, infatti, non può e non deve conoscere discriminazione sessuale, rappresentando il campo di battaglia fondamentale per la difesa della dignità e del valore della persona umana.

Il coraggio della resistenza: il valore delle donne afghane

La forza delle donne in Afghanistan non è di certo una sorpresa, né esclusiva eredità della presenza occidentale nel paese. Al di là della paternalistica e strumentale retorica occidentale, le donne afghane hanno dimostrato da tempo la capacità di autorganizzarsi e combattere per la difesa dei propri diritti. È dagli anni 70 che Rawa, Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, è attiva nel paese. Negli anni Rawa ha dato vita a progetti concreti di sostegno economico, combattendo battaglie sociali e culturali, lavorando anche per l’autodeterminazione politica del proprio paese. «La loro attività – spiega Laura Quagliuolo del CISDA, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane – non è mai stata gradita a nessuno: hanno dovuto proteggersi sempre, anche negli ultimi vent’anni di occupazione statunitense e di presunta democrazia».

Troppe volte la retorica occidentale si è presentata come portatrice dei valori democratici e di parità di genere. Se è in dubbio che la caduta del passato regime talebano abbia portato a miglioramento nella condizione di vita femminile, è altrettanto vero che la stessa nelle zone rurali dell’Afghanistan sia rimasta pressoché invariata. Matrimoni forzati, analfabetismo femminile e violenze domestiche sono state realtà all’ordine del giorno in molti villaggi e cittadine, anche durante la presenza americana, in realtà disinteressata alle questioni sociali della nazione.

Le donne afghane sono, ad oggi, le uniche ad avere il coraggio di scendere per strada a combattere per i propri diritti e la propria libertà. Guardando in faccia il volto di chi le vorrebbe rinchiuse in casa, segregate e umiliate, sminuite e asservite al marito, al padre o all’uomo di turno, le donne in Afghanistan, con tutta la paura data dalla consapevolezza del rischio che stanno correndo, affrontano i propri aguzzini con dignità e a testa alta, mostrando al mondo intero cosa sia realmente il coraggio.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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