L’Ucraina, confine d’Europa, terra d’incontro
L’Ucraina, dallo slavo U, presso, Okraina, periferia-confine, è stata fin dall’antichità terra di frontiera, fra due mondi, Occidente e Oriente, dove i popolo preslavi, (cirmiti, sarmati e sciti), incontravano gli ambasciatori del mondo mediterraneo nelle prime colonie greche dell’area lungo le coste del Mar Nero.
L’arrivo delle popolazioni slave e l’incontro con i varieghi (vichinghi) scandinavi, resero la zona un importante snodo commerciale, dove la navigazione del fiume Dnepr permetteva alle merci e agli uomini contatti tra l’Europa nord-orientale e il mondo bizantino, prima, ottomano poi.
Nodo cruciale nella formazione dell’identità russa ed ucraina è il 988, data in cui la tradizione ha posto la conversione di Vladimiro I al cristianesimo, costituendo a Kiev un principato la cui egemonia è di difficile definizione. Le invasioni mongole e le successive migrazioni dei popoli turco-tartari portarono all’interno di questo calderone di popoli l’ultimo elemento culturale, quello turco-mongolo, la cui complessa stratificazione storica è giunta fino ai giorni nostri. Il 988 è dunque una data simbolo intorno alla quale gioca la forzata pseudo-identificazione nazionalista, (come tutte le rivendicazioni nazionaliste) di Putin. Gli Ucraini e i Russi sono lo stesso popolo, secondo il presidente russo, il quale ha dedicato all’argomento un saggio intitolato «Sull’unità di russi e ucraini nella storia». La forzatura della medesima appartenenza ad un’unica identità storica è quanto la Russia zarista, quella sovietica ed oggi la Federazione di Putin hanno cercato di fare, fino a tentare di convincere, quanti rivendicano e difendono l’autonomia del proprio paese che l’Ucraina, separata dalla Russia, non esiste.
Tra autonomie e dipendenze: il giogo della Russia e l’indipendenza dei cosacchi
Per quanto sia innegabile lo stretto collegamento fra Kiev e Novgorod, l’antico insediamento russofono, a pochi chilometri da San Pietroburgo, il riconoscimento di una identificazione siffatta andrebbe a negare secoli di differenziazioni e autonomie locali, permettendo un anacronistico appiattimento delle differenze. L’esperienza di Kiev nel XI secolo è tutt’altro che identificabile con le origini di un nucleo nazionale comune, come invece sostiene il presidente russo nel suo già citato saggio. Lungi dall’essere rappresentata come forma statale – storicamente ridicola qualsiasi affermazione nazionale – i Rus di Kiev rappresentavano un insieme di realtà abitative culturali e civili, legate fra loro da vincoli consuetudinari, privi di forme istituzionali centrali e politiche. Dopo le invasioni fra XIII e XIV secolo quel territorio di frontiera, okraine appunto, venne spartito fra le potenze dell’area, l’impero Ottomano, la Confederazione polacco-lituana, il dominio austro-asburgico e l’impero Russo. Significativa è la nascita del primo nucleo identitario ucraino indipendente: i cosiddetti cosacchi del Dniepr. Con il passare del tempo, la forte influenza russa della regione crebbe ai danni del regno polacco e soprattutto dell’autonomia degli insediamenti e delle rivendicazioni dei cosacchi, la cui secolare esperienza dell’Etmanato tra XVII e XVIII secolo, basterebbe da sola a dimostrare la legittimità della dichiarata autonomia storica di Kiev da Mosca. Ma le rivendicazioni di autonomia degli ucraini sono state da secoli calpestate dai tentativi, mai evidentemente del tutto riusciti, di schiacciare l’identità ucraina sotto il peso di quella russa. In un certo senso sono proprio questi tentativi a testimoniare una spiccata autonomia della civiltà ucraina rispetto a quella russa, al di là dei paradigmi comuni che la storia di paesi confinanti possano avere. Così, con l’abolizione dell’Etmanato e l’instaurazione del governatorato della “piccola Russia” nel 1764 per volere di Caterina la Grande, ha inizio la secolare soppressione dell’identità etnica ucraina, inasprita nell’ultimo periodo del regno dei Romanov. Proprio la forte rivendicazione identitaria e autonomista rendeva l’Ucraina terreno fertile per la nascita di movimenti rivoluzionari anti-zaristi, filodemocratici, socialisti e liberisti che avevano come scopo la rottura delle catene di Mosca su Kiev.
Dal crollo dello Zar, all’Unione sovietica. Il 1991 l’anno dell’indipendenza
Con la Rivoluzione d’ottobre nel 1917 l’Ucraina, come tutti i territori dell’antico impero russo, divenne teatro della guerra civile combattuta fra i “bianchi”, forze anticomuniste legate all’antico regime zarista, e i “rossi” rivoluzionari bolscevichi. La vittoria definitiva di questi ultimi nel 1922 sancì la nascita della Repubblica socialista sovietica Ucraina entrando formalmente nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Urss, pensata da Lenin come federazione di repubbliche paritarie, con l’obiettivo di diffondere la rivoluzione comunista nel mondo. Il sogno di Lenin morì quando Stalin, raggiunto il potere, recuperò l’antica politica di egemonia russa, rinunciando al progetto di esportare la rivoluzione in Europa. L’esilio e l’uccisione di Trotsky, erede intellettuale della politica leninista, sancì la vittoria del modello di Stalin e l’assoggettamento delle repubbliche sorelle alla madre Russia. L’imposizione della lingua e della cultura russa, ai danni di quelle autoctone, fu dunque un ulteriore passo di quel forzato progetto di “russificazione”, ereditato dalla politica zarista, che l’unione sovietica tentò di realizzare nei territori posti sotto il suo dominio, fra cui l’Ucraina. Dopo le folli politiche di riorganizzazione agricola imposte dal dittatore sovietico, che portarono alla morte per inedia 4 milioni di ucraini, tra il 1932 e il 1933, ci fu l’invasione nazista nel 1941, accolta da una parte della popolazione come “liberazione” dall’agognato giogo russo. L’indipendenza, tuttavia, giunse infine solo nel 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica, quando l’Ucraina si avviò, non senza difficoltà, alla costruzione di uno stato autonomo ed indipendente. Nel corso della storia più recente governi filorussi si sono alternati a governi filoeuropei, rispecchiando la divisione, per affinità culturali, del popolo ucraino. Se la parte orientale del paese è infatti vicina alle influenze russe, sostenendo l’alleanza economico-politica privilegiata con la Federazione, molti sono coloro, soprattutto nella parte occidentale, quella storicamente più influenzata dall’Austria e per meno tempo soggetto al dominio russo, che desiderano una maggiore integrazione europea.
La storia recente. Kiev, tra Mosca e Bruxelles
La cosiddetta Rivoluzione Arancione nel 2004 e la rivolta di Maidan nel 2013, sono state forti manifestazioni di indipendenza ed eurofilia da parte della maggioranza della popolazione ucraina che guarda ad Occidente con più interesse rispetto all’Oriente. Inoltre, la promessa fatta dalla Nato nel 2008 di accogliere, in un non precisato futuro, l’Ucraina nel Patto Atlantico ha destabilizzato i rapporti con Mosca, giunti a rottura dopo l’invasione della Crimea, a seguito degli eventi del 2013-2014, quando la destituzione di Yanukovich e le manifestazioni di massa contro il governo filorusso, accusato di corruzione, hanno fatto precipitare la situazione. L’Europa, in quel momento, perse un’occasione, quella di trasformare la crisi ucraina nell’opportunità di relazionarsi con la Russia in modo autonomo, muovendosi nello scacchiere internazionale come entità politica sovrannazionale forte, slegata dalle dipendenze americane. L’Ucraina, oggi campo di battaglia, rappresenta l’occasione che l’Europa ha perso, nel momento in cui avrebbe potuto trasformare un terreno di conflitto in un punto di contatto. Kiev sarebbe potuta essere ponte di comunicazione privilegiata fra Bruxelles e Mosca, che avrebbe portato dalla sua parte il gigante euroasiatico, nel difficile gioco di equilibri dell’ordine mondiale. Ma la storia non si realizza con i sé, e tale occasione non fu accolta. Da allora la crisi ucraina, iniziata con quello che Putin definì «colpo di stato incostituzionale» e «presa del potere militare», si è intensificata fino all’escalation militare e alla guerra in corso quest’anno. Da allora le regioni di Luhansk e di Donetsk, entrambi nella zona del Donbass, uscirono, insieme alla Crimea “liberata” dalle forze militari russe, dal controllo di Kiev. Da allora gruppi militari, finanziati dalla Russia, hanno combattuto una guerra per il controllo del territorio, con tanto di trincee e abitazioni abbandonate lungo un fronte di 400km, dove negli anni tra i 13 e le 14 mila persone hanno perso la vita e dove moltissime famiglie hanno dovuto abbandonare le proprie case e il proprio paese.
La Storia: da vittima a responsabilità.
La storia, da sempre, è la prima vittima nelle rivendicazioni politiche e l’ultima tra i caduti dopo la vittoria militare, quando i vincitori del conflitto impongono la propria versione ai fatti appena trascorsi. Conoscerla e capirla è il primo e più importante passo per sciogliersi dai nodi dell’incoscienza che imprigionano la nostre menti e i nostri corpi nella schiavitù dell’ignoranza, sollecitando la nostra apatia a neutralizzare la nostra libertà. Difenderla è una nostra responsabilità, comprenderla un nostro dovere, studiarla la nostra speranza.
Daniele De Camillis