Prosegue la guerra in Europa. Ottantasei giorni di violenze e bombardamenti, di morte e brutalità per i soldati, di dolore e sofferenza per le famiglie. Mentre Kiev ha definito «impossibile» un cessate il fuoco «senza il ritiro totale delle truppe russe dai confini ucraini», metà delle uomini del battaglione Azov ha deciso di arrendersi, uscendo, disarmati, dalla trappola mortale dell’acciaieria Azovstal.  L’annuncio è stato dato dal ministero della Difesa russo, informando che «771 militanti dell’unità nazionalista Azov si sono arresi».

Ad oggi, secondo le stime dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, 3752 sono i civili che hanno perso la vita a causa del conflitto in Ucraina, più di 4000 i feriti, anche se molte organizzazioni internazionali propendono a considerare la cifra di gran lunga sottostimata. Nel frattempo, Mariupol, saldamente in mano russa, è a rischio di una nuova epidemia di colera, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, a causa delle scarsissime condizioni igieniche a cui la città è stata lasciata in seguito ai bombardamenti.

L’espansione della Nato. La fine della neutralità.

Mentre il conflitto in Ucraina sembra destinato a prolungare il bagno di sangue, le tensioni fra la parte Occidentale e la Federazione Russa crescono. L’Alleanza atlantica sembra cavalcare bene la crisi che la sua stessa espansione pare abbia contribuito a provocare – o quantomeno a non placare – prossime ormai le adesioni di Finlandia e Svezia all’interno della Nato. «Entriamo nella Nato per difendere la pace» afferma Sanna Marin, premier finlandese intervistata da La Stampa. «La parte giusta della storia è quella che sostiene l’Ucraina perché l’Ucraina è stata attaccata – sostiene la leader scandinava- gli ucraini sono le vittime della guerra. Putin uccide i civili, bambini, madri, anziani, gente che non aveva minacciato la Russia in alcun modo: noi dobbiamo essere con loro, dal lato giusto della storia». Non un atto di solidarietà, tuttavia, ma una precauzione necessaria, sembra aver spinto i paesi scandinavi fra le braccia dell’Alleanza atlantica. La paura di seguire le sorti di Kiev, paura fra l’altro diffusa in tutta la zona orientale dell’Europa, ha spinto Helsinki e Stoccolma a rompere la storica neutralità, chiedendo l’adesione all’Alleanza. Secondo il politologo Luciano Bozzi, intervistato da Vatican News, la guerra in Ucraina ha avuto, come paradossale corollario, la rivitalizzazione dello strumento Nato, percepito da molti – prima della guerra in Ucraina – come fiacco ed anacronistico, mentre molti oggi la considerano la migliore chance di sopravvivenza alle voraci fauci del gigante russo. Una reazione dunque, uguale e contraria, che sollecitata dagli eventi in Ucraina ha sostenuto proprio quell’espansionismo atlantico verso oriente, a danno delle zone di influenza russa, che Putin stesso voleva evitare. Un effetto collaterale di certo non voluto per Mosca. A prova di ciò, basti pensare che, in Finlandia da uno scarso 30%, costante nei sondaggi dal 1999 al 2021, della popolazione favorevole all’adesione del paese al Patto atlantico, si è passati a maggio ad un circa 76%, a cui si aggiungono un 11% di dubbiosi, i quali a loro volta potrebbero propendere per il sì.

L’obiezione della Turchia

Tuttavia, non tutti all’interno dell’Alleanza sono favorevoli all’ingresso dei paesi scandinavi. La Turchia si è detta apertamente contraria all’adesione dei paesi scandinavi al patto atlantico, ritenendo i due paesi del Nord, colpevoli di «sostenere organizzazioni terroristiche» che minano la sicurezza nazionale. Chiaro il riferimento al rifiuto da parte di Svezia e Finlandia all’estradizioni dei curdi, accusati da Ankara, di appartenere al PKK, organizzazione ufficialmente riconosciuta come terroristica, non solo dalla Turchia, ma anche dall’Unione Europea, di cui i due paesi scandinavi fanno parte. «Non stiamo facendo scambi con Ankara, la nostra risposta è che il PKK è stato bandito e se questo rimane ambiguo per qualcuno, possiamo ribadirlo in qualsiasi contesto» ha risposto Pekka Haavisto, ministro degli esteri finlandese. Anche Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ha cercato di distendere le tensioni fra i paesi assicurando che l’Alleanza sarà «in grado di affrontare le preoccupazioni espresse dalla Turchia in modo da non ritardare l’adesione». È infatti necessaria l’unanimità per ratificare il Protocollo di adesione da parte dei Paesi membri, ed in questo senso Ankara potrebbe risultare un ostacolo reale all’ingresso dei due stati.

La moderazione della Nato, la calma di Putin.

Ad ogni modo, la Turchia, per ora, sembra essere l’unica nazione contraria all’adesione, pertanto è possibile che la pressione degli stati membri possa portare Erdogan a cedere. Non sembra troppo preoccupata la stessa leader di Helsinki che alla domanda relativa all’impedimento turco ha risposto: «Penso che a questo stadio sia importante stare calmi, avere discussioni con la Turchia e con tutti gli altri Paesi membri, rispondendo a domande che possono esserci e correggendo eventuali malintesi. Ogni problema può essere risolto con la discussione e la buona volontà». Anche la Russia sembra aver mitigato, dopo le prime acerbe reazioni, il suo atteggiamento in merito. «la Russia non ha problemi con questi Stati», ha dichiarato Putin al vertice dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva. «L’allargamento della Nato ai due Paesi nordici, ha aggiunto Putin, “non rappresenta una minaccia diretta per noi» ha aggiunto il presidente, mentre ha sottolineato che altra cosa sarebbe l’installarsi di strutture missilistiche e basi militare al ridosso del confine con Mosca: «Lo sviluppo delle infrastrutture militari in questi territori provocherà sicuramente la nostra risposta. E vedremo come sarà tale risposta a seconda delle minacce che ci porranno».

Daniele De Camillis

 

 

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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