Prosegue, più terribile che mai, la guerra in Ucraina, entrando nella sua terza settimana di vita. Nessun progresso significativo sul fronte diplomatico. Concluso con un nulla di fatto il terzo tentativo ad Antalya, in Turchia, mentre proseguono i bombardamenti sulle principali città ucraine assediate dalle truppe russe. Macerie ricoprono Mariupol, città assediata nel sud est dell’Ucraina, dove lo scontro ha mostrato uno dei suoi tratti più crudeli: colpito l’ospedale pediatrico della città con tre vittime, tra cui un bimbo. «E’ un crimine di guerra» ha tuonato Zelensky, ammonendo il mondo intero: «Non potrete dire di non aver visto cosa è accaduto agli ucraini, cosa è accaduto ai residenti di Mariupol! È la prova definitiva che è in corso il genocidio degli ucraini». Dal canto suo la Russia giustifica la sua azione facendo sapere che l’ospedale era usato come base dal battaglione Azov e che fosse stato preventivamente evacuato. «Il 7 marzo, tre giorni fa, la nostra delegazione ha presentato ad una sessione del Consiglio di Sicurezza le prove che l’ospedale in questione era stato requisito da tempo dal battaglione Azov e da altri radicali – ha detto il ministro degli Esteri Serghei Lavrov in una conferenza stampa ad Antalya, dopo il meeting con il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba – Tutte le donne incinte e il personale erano state fatte partire».
Il battaglione Azov era formato da volontari di estrema destra provenienti da diversi Paesi europei, conosciuto dai separatisti del Donbass contro i quali ha combattuto in questi anni, è stato inquadrato, in seguito all’invasione nella Guardia nazionale dell’esercito ucraino.
La diplomazia e il costo della guerra
Proseguono anche gli sforzi diplomatici occidentali ed europei. A Versailles si è tenuto un vertice fra i capi di stato e di governo dell’Unione europea. «Germania e Francia hanno chiesto una tregua immediata» fa sapere un portavoce del governo tedesco; parole confermate dallo stesso presidente francese «Con il cancelliere Scholz abbiamo parlato oggi di nuovo con Putin per ottenere un cessate il fuoco e un’uscita dal conflitto che possa essere politica». Macron stesso, tuttavia, si dice «preoccupato e pessimista», confidando ai suoi stessi concittadini di non credere di poter ottenere un «cessate il fuoco nei prossimi giorni». «A breve termine non vedo soluzioni diplomatiche – ha aggiunto il capo dell’Eliseo – ma ci spero e continueremo a insistere, a spingere i russi verso un compromesso, ad aiutare. Ma non possiamo deciderlo al posto delle parti in causa».
Nel frattempo, la Russia ha proibito le esportazioni di farina, frumento, segale orzo e mais verso i Paesi dell’Unione economica eurasiatica (Uee), mentre ha garantito tutti i suoi impegni relativi alle esportazioni energetiche. Mentre i prezzi della benzina aumentano a livelli vertiginosi, portando ai massimi livelli il carovita occidentale ed italiano, Vladimir Putin ha chiesto all’Occidente di non incolpare Mosca per l’aumento dei prezzi dell’energia, conseguenza di un prevedibile contraccolpo della politica sanzionatoria ai danni del gigante euroasiatico.
La guerra in Ucraina: la colpa di Putin, la responsabilità dell’Occidente
La narrazione in vigore, con una certa miopia, in questo momento sembra non riuscire a spiegare perché Putin abbia dato avvio ad una guerra in pieno territorio europeo. Guerra che sembra minacciare la stessa stabilità di potere a Mosca e con la quale il gerarca Russo sembra essersi impantanato in un gioco al rialzo dal quale teme di non poter uscire. Putin sperava di risolvere la questione in una veloce Blitzkrieg, una guerra lampo, una veloce operazione militare in grado di riportare, nell’arco di uno o due giorni, gli indipendentisti ucraini filoccidentali all’interno delle “amorevoli” braccia della Federazione, forzando il riconoscimento di una comune identità panrussa. La minaccia della Nato e l’opposizione di Zelensky hanno spinto il presidente russo ad optare per l’operazione militare, assumendo su di sé il rischio che tale azione poteva comportare.
Nessuno si aspettava che gli ucraini e lo stesso Zelensky mostrassero una così fiera opposizione. Di certo non lo sperava Putin che ha visto trasformare la veloce guerra premeditata, in una lenta marcia della morte, in cui all’agonia dei civili ha fatto seguito la frustrazione dell’alto comando militare russo, incapace di porre fine alla resistenza. Un pantano che minaccia seriamente la vita politica dello stesso presidente. Da qui la necessità di risolvere il conflitto il prima possibile, alzando sempre di più la posta in gioco e le minacce, paventando l’incubo della guerra nucleare ogni qual volta il blocco occidentale mostri l’interesse a rendere più “attivo” il suo sostegno a Kiev. Ecco spiegata dunque la cauta fermezza con cui invece il mondo occidentale, reo dell’escalation militare al pari del suo omologo russo, esporta armi in Ucraina, ma rifiuta di imporre la No Fly Zone tanto richiesta da Zelensky.
«Gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno cambiato idea in merito all’invio di truppe in Ucraina» fa sapere Jean Psaki, portavoce della Casa Bianca, rispondendo a coloro che chiedevano se il possibile impiego di armi chimiche da parte dei Russi, confermato dal direttore della Cia William Burns, avrebbe fatto cambiare posizione al presidente Biden in merito alla possibilità di un intervento diretto. «Biden non intende inviare forze Usa a combattere in Ucraina» ha specificato Psaki, in quanto «l’obiettivo è quello di prevenire una guerra mondiale e di non fare passi che non siano negli interessi degli Stati Uniti o dei nostri alleati» conclude la portavoce in un briefing svolto con la sala stampa ieri pomeriggio a Washington.
Ordine mondiale; un’ingarbugliata matassa in precario equilibrio
Ad ogni modo la vendita delle armi in Ucraina rischia di alimentare l’escalation militare, mentre ogni strada diplomatica sembra essere destinata al fallimento. Posizioni talmente tanto contrarie il cui scontro non sembra portare a nessun risultato se non qualche blanda formula di rito sulla possibilità di aprire “corridoi umanitari”, puntualmente non rispettata. Si presenta così uno scenario di difficile soluzione, nel quale l’ordine mondiale, oggi più precario che mai, si ritrova ad essere sconquassato da forze sempre più eterogenee e divergenti. Difatti se da un lato per Putin non è possibile lasciare la guerra senza ottenere la demilitarizzazione dell’Ucraina, che di fatto consegnerebbe il paese nelle mani di Mosca, il riconoscimento della Crimea e del Donbass come parte della Federazione e l’esclusione dei paesi dell’ex blocco sovietico dal patto atlantico, dall’altro l’occidente, America in primis, non può permettersi di creare un così grave precedente. Una manifestazione di profonda debolezza, e un segnale di via libera per la Cina, che guarda l’Ucraina come un test per l’America, per potersi accaparrare Taiwan. Ma Taipei non è Kiev, ed i soldati americani questa volta, si ritroverebbero faccia a faccia con quelli cinesi. Una minaccia all’ordine mondiale forze ancora più grave che senza alcun dubbio il mondo non può permettersi.
Daniele De Camillis