Gli Usa e la Nato si ritirano dall’Afghanistan. Kabul teme un ritorno dei talebani
L’11 settembre 2021 è il termine, imposto da Biden, per il ritiro delle truppe americane in Afghanistan. Data significativa per la fine della campagna americana nel paese. Far coincidere il ritiro delle truppe con l’anniversario dell’attentato alle torri gemelle, inizio delle operazioni belliche nel paese, sembra quasi un modo per Biden di far chiudere il cerchio. Lo scopo dell’intervento americano, iniziato sotto la presidenza di George W. Bush, era stato quello di distruggere Al Qaeda e uccidere Bin Laden, a cui i talebani davano sostegno e rifugio. Dopo la morte del terrorista però, avvenuta nel 2011, la Repubblica islamica afghana, appoggiata dalla comunità internazionale, ha continuato a beneficiare del supporto tattico e militare americano e delle forze Nato per sopravvivere in uno stato di costante guerriglia contro le forze talebane, ancora presenti sul territorio e trincerate nella parte meridionale del paese, al confine con il Pakistan.
Una probabile guerra civile
L’accordo per il ritiro delle truppe è stato raggiunto nel febbraio 2020, a Doha, dalla passata amministrazione Trump. In cambio del cessate il fuoco e del ritiro delle forze Nato dal paese, gli Usa hanno chiesto ai talebani di negare il supporto alle nuove formazioni terroristiche e di avviare relazioni diplomatiche per il riconoscimento del governo repubblicano, sostenuto dalla comunità internazionale. Tuttavia, ogni tentativo diplomatico per avviare una relazione fra Kabul e il gruppo di fondamentalisti è fallito, rivelando gravi difficoltà già nelle prime fasi di contatto.
«I talebani non vogliono accordi con il governo afghano, che non riconoscono, definendolo fantoccio degli Stati Uniti» ha affermato il generale Giorgio Battisti, Capo di Stato Maggiore Nato che, nel 2001, era alla guida del primo contingente arrivato in Afghanistan. In un’intervista rilasciata a Vatican news il generale definisce la situazione attuale come un “balzo” indietro di 20 anni: «Sembra quasi che si ritorni a quando siamo partiti» ha commentato Battisti. «I talebani chiedono che questo governo, sostenuto dalla Nato, lasci spazio ad un governo talebano. Tutto dipenderà – prosegue il generale nella sua dichiarazione – se riescono a mettersi d’accordo. Io dubito».
In effetti l’avanzata delle forze talebane sta erodendo le posizioni del governo che, privato del sostegno militare americano, teme ormai per la sua stessa sopravvivenza. La stessa intelligence americana stima che Ashraf Ghani, Presidente dell’Afghanistan, senza l’appoggio militare americano e della colazione internazionale, non riuscirà a tenere il paese oltre i due anni, ponendo nel campo delle possibilità la riconquista talebana nell’arco di sei mesi. A fronte degli 84 distretti posti sotto il controllo governativo, 160 circa sono già in mano ai ribelli, mentre altrettanti sono teatro di conflitti e combattimenti. Lo stesso generale Austin Miller, comandante in capo americano dell’intera coalizione internazionale, durante una conferenza stampa a Kabul, ha dovuto constatare che per il paese «La guerra civile è certamente una via possibile». Molte sono le etnie presenti sul territorio. Il gruppo etnico pashtun, a cui appartiene il movimento fondamentalista dei talebani, rappresenta solo il 40% circa della popolazione. La mobilitazione degli altri gruppi etnici, organizzatisi in milizie, sembra portare il paese verso un inevitabile conflitto armato. Riemergono, infatti, i “Signori della guerra”, come Abdul Rashid Dostum, a capo delle milizie uzbeke, e Ahmad Massoud, a capo di quelle tajiki. Anche la minoranza etnica degli Hazara, da sempre in conflitto con i talebani, in quanto sciita e perseguitata dagli integralisti sunniti, si sta armando per resistere ad un eventuale avanzata talebana verso i propri territori del Nord.
La fine di un’impresa
La coalizione internazionale continua a supportare il governo afghano, promettendo assistenza e collaborazione. «Non termina il nostro impegno in altre forme» ha sottolineato il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini. Intanto però, martedì scorso, l’ultimo contingente italiano ha lasciato Herat atterrando all’aeroporto militare di Pisa. Si conclude così la missione militare italiana in Afghanistan durata 20 anni, durante il quale 50.000 soldati hanno prestato servizio, 53 dei quali sono morti in servizio e 723 rimasti feriti. Il giorno seguente anche la Germania ha completato il ritiro delle sue truppe, salutate da un tweet del ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp- Karrenbauer: «Si è concluso un capitolo storico, un intenso dispiegamento che ha sfidato e plasmato l’esercito tedesco, come si è dimostrato in combattimento». Degli 8000 soldati americani stanziati in Afghanistan solo 650 rimarranno sul territorio per difendere l’ambasciata e i diplomatici americani di stanza nel paese.
L’Afghanistan sembra quindi non fare più parte delle sfide geopolitiche nelle quali gli Usa sono interessati a impegnarsi, secondo l’agenda di Biden. “America is back”, ma, evidentemente, non per tutti.
Daniele De Camillis