Se ne è andato, dopo Gorbačëv, un altro volto, forse il più significativo, del Novecento. Sua Maestà, la regina Elisabetta II di Windsor si è spenta nella sua residenza scozzese a Balmoral lo scorso 8 settembre.

Nata nel 21 aprile nel 1926, la regina è stata, nel corso dei suoi  70 anni di regno, il volto più iconico della monarchia, contribuendo in modo significativo alla sopravvivenza di tale secolare istituzione.

La prima fra i sovrani

Monarca dai molti primati – prima sovrana britannica  in un paese comunista (Jugoslavia 1972), prima  a visitare l’india (1961), il Sudamerica (1968), i paesi del golfo persico (1979),  la Cina (1986) e la repubblica d’Irlanda (2011) riconoscendone il turbolento passato, primo capo di stato ad aprire due giochi olimpici in due nazioni diverse (Montréal 1976 – Londra 2012 ), prima sovrana britannica a celebrare le nozze di diamante (2007 ) e ad aver presieduto al regno più lungo della storia britannica (70 anni e 214 giorni) – la Regina Elisabetta II ha ricoperto il suo alto ruolo istituzionale con estrema serietà e massima efficienza, prestandosi con religiosa abnegazione ai doveri del suo incarico, considerando l’abdicazione un’inaccettabile violazione di quella promessa solenne compiuta a Westminster davanti a Dio e agli uomini il 2 giugno 1953.

Regina di ben 15 nazioni – appartenenti “Reami del Commonwealth”, sottostruttura dell’ordine sovrannazionale del “Commonwealth delle nazioni”, di cui è stata a Capo – sovrana di 150 milioni di sudditi, da lei è dipesa la sopravvivenza della secolare istituzione monarchica, traghettando la corona durante i difficili anni del Novecento e al di là di esso, nel nuovo millennio.

La sua nobile figura e la sua rispettosa immagine hanno contribuito a veicolare all’interno del cuore di molti inglesi (e non solo) un affetto profondo per la casa reale, nonostante i pettegolezzi e le critiche di cui è stata oggetto, resistendo ai duri anni della devoluzione del potere britannico e alla decolonizzazione dell’Impero.

Non solo un simbolo

Il suo ruolo è stato tutt’altro che meramente simbolico. Protagonista attiva della vita politica ed istituzionale del suo paese, la regina ha rispettato il suo ruolo di rappresentanza della nazione nominando 15 primi ministri inglesi, mantenendo sempre un alto riserbo verso i propri giudizi, al fine di non infangare la corona in infime macchinazioni politiche, per quanto ogni tanto le sue preferenze sono riuscite a trapelare quel fitto velo di riserbo istituzionale, come il legame instaurato con Churchill o la sua ostilità verso la Thatcher.

Proprio la Lady di ferro ha ricordato, durante un’intervista, la serietà degli incontri istituzionali previsti fra il premier e il sovrano britannico, a cadenza settimanale, definendoli tutt’altro che convenzionali: «Chiunque pensi che siano una mera formalità, o limitati ad amenità sociali, si sbaglia; sono molto simili a riunioni di lavoro e Sua Maestà mostra di avere una visione formidabile delle tematiche più urgenti e una grande esperienza».

Il volto della Corona. Un modello di riferimento.

Una vita passata al servizio della nazione, dal primo discorso radiofonico tenuto durante la Seconda guerra mondiale, indirizzato ai bambini evacuati durante i bombardamenti dell’aviazione tedesca, all‘ultimo videomessaggio il quarto del suo regno) durante la pandemia da Covid 19, la sua tempra non ha mai vacillato, mostrando carattere e coraggio soprattutto nei momenti difficili e dando, così ai suoi sudditi, la forza in un saldo modello di riferimento al quale aggrapparsi.

Testimone tutt’altro che passiva degli eventi fra i più cruciali del secolo scorso, dalla stessa seconda guerra mondiale, alla quale partecipò prima di diventare regina servendo come autista e meccanico, allo sbarco sulla luna, fino alla recente pandemia, servendo come capo di stato britannico durante i difficili anni della disgregazione dell’Impero, della crisi di Suez – alla cui conseguente invasione anglo-francese, la regina, secondo le parole di Lord Mountbatten, zio materno del principe Filippo, era fortemente contraria –  della guerra delle Falkland – con il risvolto personale per la diretta partecipazione del suo terzo figlio, il principe Andrea – delle rivolte irlandesi e dei difficili anni degli attentati dell’IRA, in cui perse la vita lo stesso Lord Mountbatten, facendo la conoscenza di 13 presidenti Usa, da Truman a Biden, e di 5 papi, da Giovanni XXIII a papa Francesco – escluso papa Luciani che non ebbe il tempo di conoscere.

Regina UK, Capo di stato del Commonwealth.

Il Commonwealth fu in primo luogo un dovere e un compito di primaria importanza per la regina Elisabetta II, impegnandosi per la sopravvivenza dei legami internazionali, combattendo la discriminazione razziali e sostenendo la parità di diritti fra tutti gli stati membri.

Il suo ruolo fu fondamentale per impedire la completa disgregazione dell’eredità dell’impero britannico, riconoscendo, grazie alla sua attività di rappresentanza, un valore all’interno della sovrastruttura internazionale del Commonwealth. La sua fermezza riuscì a costruire intorno all’immagine del sovrano un motivo di sopravvivenza dei legami internazionali dei vari paesi membri.  Degno di nota è l’incontro con il presidente del Ghana, Kwame Nkrumah nel 1961, dove ignorando i rischi per la propria sicurezza personale, si comportò da vera sovrana, svolgendo un ruolo fondamentale per la politica estera del regno, salvaguardandone gli interessi e quelli del Commonwealth. «La regina è stata determinata per tutto il tempo – ricorderà Harold Macmillan, primo ministro inglese, a proposito di tale episodio – ella è insofferente riguardo al tentativo degli altri di trattarla come una “star”. Ama il suo dovere e ha intenzione di essere una vera Regina».

Ovviamente, nei suoi 70 anni di reggenza, non sono mancati anche i momenti bui per la casata dei Windsor. Episodi terribili, come la morte di lady Daiana (1997), evento forse più tragico per la famiglia reale, dove il distacco e la freddezza dei reali consorti sembrò, per un momento, far vacillare la popolarità che la monarchia aveva fino ad allora faticosamente difeso. Disastroso fu anche il 1992 definito dalla Sovrana stessa, Annus horribilis, per le critiche rivolte verso le finanze reali, l’incendio che coinvolse parte del castello Windsor e le numerose crisi matrimoniali riguardanti la casa reale stessa, come il divorzio del principe Andrea dalla moglie Sarah Ferguson a cui seguì quello della principessa Anna, dal capitano Mark Philips.

Una donna, una madre, una regina.

«Sono state le donne a portare dolcezza e benevolenza nel duro processo di umanizzazione della società», ha amato affermare la regina. A testa alta, per ben 70 anni, una delle più alte e storiche istituzioni nobiliari d’Europa e del mondo intero è stata, infatti, egregiamente ricoperta da una donna, la quale non ha mai rinunciato alla sua indipendenza, alle sue passioni, che ha continuato a coltivare come per i cavalli e per la fotografia, ai suoi impegni personali e alle sue personali convinzioni, decidendo di non negare nulla nemmeno alla sua maternità o al suo ruolo di nonna.

Modello di valore e di rispetto, quindi, per le donne e per gli uomini chiamati a rispondere, con responsabilità e fiducia, ai doveri e alle sfide che la vita pone davanti, ognuno a suo modo, ricordando a tutti noi che, con le sue stesse parole: «Ci sono momenti in cui la vita sembra piccola, noiosa, meschina e senza un obiettivo. E poi a un certo punto veniamo trascinati in un grande evento che ci fa capire quanto sia solida e profondamente durevole la nostra esistenza». Non resta che salutare, per l’ultima volta, sua maestà la regina, affermando ancora: God save the queen.

 

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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