Dalla Scozia all’Egitto. A Sharm el-Sheikh si è tenuta la 27 esima edizione della Conferenze of the parties, meglio conosciuta come Cop27, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la UNFCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici). Se a Glasgow la Cop26 si era conclusa con la promessa di aver preparato la strada per la realizzazione di un ottimo risultato per l’anno successivo, quel momento è arrivato, ma i successi promessi no. Questa ultima riunione, durata una decina di giorni di colloqui, lavori, scambi, attese – per le decisioni del G20 di Bali – ha dimostrato tutta la lentezza del sistema politico mondiale.
Le difficoltà delle Nazioni e gli Accordi di Parigi
Nel documento finale – non privo di una certa retorica ormai quasi scontata – si legge che la comunità internazionale riconosce «la crescente urgenza di affrontare le perdite e di danni del riscaldamento globale», lasciando però la questione “loss and damage” tutt’altro che chiarita. La questione più calda rimane, infatti, il grande gap esistente fra i Paesi più ricchi e quelli in via di sviluppo. Mentre questi ultimi, avendo più difficoltà a rispondere alle esigenze del cambiamento climatico e, soprattutto, ai costi della transizione per lo sviluppo ecologico e sostenibile hanno chiesto la costituzione di un fondo comune, quelli più ricchi si muovono con una certa diffidenza verso tali proposte, promuovendo strumenti finanziari diversi. La Cina, pertanto, non potendo farsi sfuggire l’occasione geopolitica creatasi si è dimostrata promotrice delle istanze dei paesi in via di sviluppo, l’unica in grado di tenere testa a Usa e Europa, timorosi per il rischio di esborsi eccessivi. Preoccupazione per la mancata realizzazione dell’«obiettivo dei 100 miliardi di dollari all’anno» destinato ai paesi più poveri secondo gli impegni assunti dall’Accordo di Parigi. Lo sforzo economico profuso dai paesi più ricchi per sostenere una transazione ecologica mondiale è a malapena il 31-32% di quanto necessario a mantenere il pianeta sotto ad un riscaldamento di 2 gradi. L’obiettivo, è stato calcolato ed è teoricamente possibile. A separarci da tale traguardo i circa 5.600 miliardi di dollari necessari per la transizione ecologica globale.
Il Dio denaro prima del pianeta
Difficoltosa anche la tematica dei combustibili fossili. Proposta dell’India, sostenuta tanto da Bruxelles quanto da Washington, l’estensione dei limiti di produzione e uso del carbone, imposti a Glasgow, anche a petrolio e gas ha incontrato la ferma risposta dei paesi produttori di greggio, capitanati dall’Arabia Saudita.
Ancora una volta, la salvaguardia del proprio interesse economico sembra prevalere sul buon senso, divenendo l’unica vera regola sempre rispettata da tutti nel consorzio internazionale. Gli impegni di decarbonizzazione (Ndc, Nationally Determined Contributions) presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi, sono assai inferiori a quelli necessari per rispettare gli obiettivi dell’Accordo sulla temperatura mondiale. Se la riduzione delle emissioni si aggira, ad oggi, intorno al 5% -10%, queste dovrebbero essere intorno al 30%-45% entro il 2030, per impedire l’innalzamento incontrollabile delle temperature.
«Non stanchiamoci di adoperarci per la drammatica urgenza del cambiamento climatico. – Ha scritto il papa sul suo account Internet riferendosi ai lavori della Cop27 – Mettiamo in atto scelte concrete e lungimiranti, pensando alle giovani generazioni prima che sia troppo tardi».
Daniele De Camillis