Colpo di stato in corso nel Sudan. Il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano del Sudan, lunedì scorso ha annunciato lo scioglimento del governo di transizione dichiarando lo stato di emergenza nazionale. Prontamente chiuse le linee telefoniche e i servizi internet i militari hanno occupato il paese, bloccando i ponti e le strade della capitale e transennando gli aeroporti costretti a sospendere i voli transnazionali. «Siamo stati costretti ad intervenire» è il commento del generale, per difendere «la pace e la stabilità sociale» messa a rischio secondo i golpisti, dai «dissidi interni al governo». «l’esercito – rassicura il generale-   garantirà il passaggio democratico fino all’attribuzione del potere a un governo eletto».

I golpisti, nostalgici del passato regime

Il Sudan si ritrova ad oggi nuovamente catapultato in una situazione di disordine e violenza, malgrado sia recentissima l’uscita dal paese dalla rivoluzione del 2019. Due anni sono passati infatti dalle sommosse popolari, che hanno sconvolto il paese ponendo fine al passato regime di Omar al Bashir, verso il quale alcuni comparti dell’esercito sembrano essere nostalgici. Un colpo di stato, quindi, tutt’altro che inaspettato secondo gli esperti. Vari i campanelli d’allarme, primo fra i quali un precedente tentativo di golpe, sventato dalle autorità lo scorso 21 settembre, sempre organizzato da compagini dell’esercito filo-reazionari. In un intervista alla Cnn il premier Hamdok, ora agli arresti domiciliari, aveva infatti riportato il sospetto che alcuni militari volessero «frenare il processo di transizione e soprattutto salvaguardare posizioni di privilegio radicate», messe a rischio dalle riforme proposte durante il processo di transizione. L’ufficio del primo ministro, dopo le prime avvisaglie del putsch in corso, ha prontamente invitato la popolazione a manifestare per i suoi diritti: «chiediamo al popolo sudanese di protestare usando tutti i mezzi pacifici possibili, per riprendersi la rivoluzione dai ladri» si legge in una nota di Hamdok.

La reazione dei sudanesi non si è fatta aspettare. Migliaia di persone si sono riversate per le strade della capitale e delle altre città del Sudan per protestare contro i militari, mentre al Burhan ha tentato, invano, di rassicurare la popolazione civile affermando che l’interesse dell’esercito rimane quello di garantire «una transizione verso uno stato civile e libere elezioni nel 2023», ovvero entro il limite previsto per la transizione dall’esecutivo sospeso. Nel frattempo, però, il generale ha deciso di sospendere le principali istituzioni del paese, ponendo agli arresti domiciliari il primo ministro e la sua famiglia e numerosi altre autorità civili. Nonostante l’indicazione di Hamdok del mezzo “pacifico” della manifestazione, la reazione dei militari non si è svolta sotto il segno della pace. Il Comitato medico centrale ha denunciato le violenze perpetrate ai danni della popolazione civile. Dodici i morti fra i manifestanti e ben oltre il centinaio i feriti, cifre realisticamente, purtroppo, destinate a salire con il proseguimento dello stato d’emergenza.

Stati Uniti, Francia e Unione Europea hanno condannato con la massima fermezza il tentativo di colpo di stato. Un portavoce della Casa Bianca ha definito le azioni del 25 ottobre come «in duro contrasto con la volontà del popolo sudanese e le sue aspirazioni di pace, libertà e giustizia», aggiungendo che «Gli Stati Uniti continuano a sostenere fortemente la domanda del popolo sudanese per una transizione democratica». Nel frattempo, anche l’Unione Africana ha sospeso il Sudan dai suoi organismi, mentre la Banca Mondiale ha cessato l’invio dei fondi di aiuto, vitali per le sorti di un paese povero che, come il Sudan, si ritrova impantanato in una crisi economica aggravata dal conflitto in corso.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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