Non si sprecano le manifestazioni di dissenso per la guerra in Ucraina. L’arte si muove contro la guerra. Da parte di tutta la comunità artistica e culturale internazionale è praticamente unanime il rifiuto e di dissenso manifestate attraverso vere e proprie campagne e gesti di disobbedienza culturale.

Artisti contro la Guerra. L’Ucraina si difende, la Russia è sotto attacco

Le ripercussioni sulla Russia, colpita dalle gravi sanzioni e dal biasimo di buona parte della comunità internazionale, colpiscono anche il mondo artistico e culturale. Così la guerra, politica e diplomatica, coinvolge anche il mondo dell’arte, laddove le ambasciate russe in molti paesi, fra cui l’Italia, stanno richiedendo, al fronte delle gravi sanzioni imposte dalla comunità internazionale alla Federazione, le opere artistiche ospitate nei musei e nelle gallerie di mezzo mondo. Accanto alle richieste ufficiali, moltissimi sono gli artisti che cercano di boicottare, attraverso la pacifica disobbedienza, la guerra di Putin. Alexandra Sukhareva, ad esempio, artista moscovita contemporanea invitata alla cinquantanovesima Esposizione della Biennale di Venezia, ha ritirato, insieme al collega Kirill Savchenkov, la sua partecipazione al prestigioso evento internazionale, come segno di protesta. «Non c’è posto per l’arte, quando i civili muoiono sotto i missili. Quando i cittadini dell’Ucraina si nascondono nei rifugi e quando chi dissente nel mio Paese viene ridotto al silenzio» ha commentato Sukhareva.

Dal tempio del balletto classico, il Teatro Bol’šoj di Mosca, provengono le manifestazioni più ferme e decise di dissenso. «Sono contro la guerra con ogni fibra della mia anima» afferma Olga Smirnova la prima ballerina della Russian Bol’šoj Ballet di Mosca, tra le più famose al mondo. Fanno seguito anche l’abbandono di Jacopo Tissi, primo ballerino e Tugan Sokhiev, il direttore d’orchestra.

«Non è la partenza di una stella che cambierà le cose» afferma con tono sdegnoso Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, provando a sminuire il danno di immagine che la fuga degli artisti sta avendo sulla politica russa. Nonostante le sprezzanti dichiarazioni del Cremlino, Mosca rischia di piombare in una notte priva di stelle. Amare, infatti, sono le considerazioni di coloro che rimangono: «Vogliamo gridare la nostra posizione e farla prendere in considerazione dal mondo intero: siamo contro la guerra! Siamo contro l’invasione dell’Ucraina!» a scriverlo in una nota sono trentacinque artisti russi che, volendo mantenere l’anonimato, denunciano le «ciniche menzogne» a cui il popolo russo è sottoposta dalla propaganda di Mosca. «Il mondo dovrebbe sapere che una parte significativa della popolazione russa è contro la mostruosa catastrofe che si sta compiendo sul territorio dell’Ucraina» fanno sapere gli autori della lettera. Una guerra che, al di là di qualsiasi retorica putiniana, gli artisti russi non si trattengono dal definire «imperialista» che schiaccia e sopprime «qualsiasi forma di libero pensiero».

L’Ucraina non è Russia. La difesa di una cultura

Una guerra che si combatte su più fronti, e così alla rivendicazione putiniana di assimilazione della cultura Ucraina a quella russa, la risposta è la riscoperta dei propri valori artistici e identitari. Accanto a Dostoevskij e Tolstoj, Kiev può schierare Nikolaj Vasil’evič Gogol’ e Michail Afanas’evič Bulgàkov, giganti della letteratura mondiale, spesso rivendicati dai russi, ma oggi reclamati dagli ucraini. Di Kiev è la scrittrice Irène Nemirovsky, naturalizzata francese, vittima dell’Olocausto e lo scrittore giornalista Jospeh Roth. Molti, inoltre, gli artisti stranieri che vantano un’origine ucraina. Da Bob Dylan, all’anagrafe Robert Allen Zimmerman, I cui nonni giunsero da Odessa negli Usa nei primi del Novecento, ad Andy Warhol, da Steven Spielberg a David Copperfield – e nel mondo della tecnologia – Steve Wozniak, geniale co-fondatore di Apple insieme a Steve Jobs. Combattuta inoltre è anche la paternità del famoso pittore Arkhip Kuindzhi, noto in Russia con il nome di Turner russo, originario tuttavia di Mariupol dove di recente la sua casa, convertita in un museo, è stata distrutta dall’esplosione di una bomba.

Dal sepolcro alla speranza. La morte della Pace

La realtà della guerra colpisce tutti e il mondo dell’arte non può rimanere indifferente di fronte agli orrori della violenza. Colpiscono le immagini di coloro che tentano di mettere in salvo le opere d’arte, le statue e i dipinti, anime concrete della storia e della cultura di un popolo. Fra queste ferisce l’immagine della statua lignea del Cristo della Chiesa armena di Leopoli trasferito in un bunker della città, per salvaguardarlo dai danni di un possibile bombardamento, come già avvenuto durante la Seconda guerra mondiale. La foto, scattata da un fotoreporter portoghese, André Luis Alves, è l’immagine moderna di una deposizione di Cristo, topos d’eccellenza nella galleria artistica di buona parte della storia dell’arte occidentale. Il dolore che accompagna i volti dei testimoni alla deposizione nei millenari quadri di tutto il mondo è lo stesso dei devoti ucraini intenti a deporre l’effige di Cristo nei meandri di un bunker, consapevoli di chiudere insieme ad esso i propri desideri di pace e serenità. La pace non è più tra noi, morta, è stata crocifissa sull’altare della politica, insanguinato dagli interessi di un mondo che non conosce bellezza. L’immagine dell’agonia richiama all’inverosimile l’esperienza universale del dolore, che, ora come allora, non può che piangere per la morte della pace. Ma l’arte non è solo sublimazione di un dolore o immagine di una sofferenza, essa è anche promessa di speranza e desiderio di cambiamento, come cantava Guccini tocca a noi ricordare che «se Dio muore è per tre giorni e poi risorge. In ciò che noi crediamo Dio è risorto. In ciò che noi vogliamo Dio è risorto. Nel mondo che faremo Dio è risorto.»

 Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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