Claudio Bonivento, regista e produttore, già autore di Altri uomini (1997) e Le giraffe (2000), con A mano disarmata porta coraggiosamente in scena la vera storia della cronista d’inchiesta Federica Angeli (Claudia Gerini), nativa di Ostia, in forze al quotidiano “La Repubblica”, che decise di reagire alle continue vessazioni perpetrate da un clan mafioso locale ai danni dei suoi concittadini portando avanti, tra minacce continue, un’indagine su tutta una serie di traffici illeciti. Bonivento racconta, grazie alla bravura della protagonista Gerini, e alla buona sceneggiatura firmata dalla giornalista stessa e da Domitilla Shaula Di Pietro, non solo il senso di angoscia derivante dalla terribile e tentacolare pressione mafiosa, ma anche l’abbandono a se stesso di chi prova a fare un po’ di chiarezza, a smascherare trame occulte: non supportato abbastanza dagli apparati statali e, in parte, persino dall’ambiente in cui lavora. Il film ha un buon ritmo, veloce e concitato, un buon cast di attori: c’è qualche vuoto di sceneggiatura e lo stile è ancora un po’ troppo forzosamente televisivo, ma il risultato finale non lascia l’amaro in bocca.
Quel giorno d’estate (Amanda, non a caso, il titolo originale) di Mikhaël Hers, narratore d’atmosfera già con Memory Lane (2010) e Ce sentiment de l’été (2015), indaga sulla difficoltà di ricominciare a vivere dopo un immane tragedia, superando l’assenza e il senso di vuoto: il riferimento più immediato va agli attentati terroristici che hanno sconvolto la Francia e la comunità internazionale nel 2015, ma nell’opera del regista francese c’è molto di più. In questo film, presentato lo scorso anno nella Sezione Orizzonti di Venezia 75 e candidato al Premio Orizzonti per il miglior film e la migliore regia, tutto viene filtrato dallo sguardo di Amanda (Isaure Multrier) e da quello di suo fratello maggiore David (Vincent Lacoste, promettente attor giovane), che lavora saltuariamente come giardiniere e gestore degli affitti per conto di un grosso proprietario immobiliare, ma senza una meta precisa, senza desiderare né crescere. E’ solo a partire dalla tragedia di una strage, dal sentimento di perdita per una persona amata, Sandrine (Ophélia Kolb), sorella di David e madre di Amanda, che i due ragazzi inizieranno il lento e doloroso processo verso la maturazione, provando ad accudirsi reciprocamente (Amanda per quanto può e sa, dal limite dei suoi sette anni), a scambiarsi aiuto e tenerezza. Il regista mette in scena ancora e sempre la vita, anche se frammentata, incerta, mosaico di assenze e disillusioni, con uno stile malinconico e intimista, e grande rispetto per personaggi, contesti, situazioni, esaltato dal silenzio della parola che lascia spazio alla fuggevole, eloquente bellezza delle immagini.
Barbara Rossi