Sulla scia del celebre regista-attore comico di origini indiane Aziz Ansari, che si è costruito negli anni una carriera inossidabile e ricca di successi cinematografici, teatrali e televisivi, sdoganando con leggerezza e notevole autoironia il tema dell’integrazione e della convivenza multietnica, anche il giovane Phaim Bhuyian, italiano di seconda generazione originario del Bangladesh. Con Bangla – suo primo lungometraggio – Bhuyian (che acutamente dichiara: «Mi chiamo Phaim, ho 22 anni, anche se mi vedete un po’ negro in realtà sono italiano, tipo un po’ cappuccino. Sono 50% bangla, 50% italiano, 100% Torpigna»), racconta, in sostanza, la propria storia: cresciuto nel quartiere romano di Torpignattara, il padre venditore ambulante, la madre casalinga, mette in scena le difficoltà di convivenza e le quotidiane contraddizioni di una società sempre più variegata, composita, in cui la comunicazione tra generazioni ed etnie differenti è alquanto complicata, con effetti a tratti involontariamente comici. Bhuyan, musicista, lavora in un museo e ha una cerchia di amici variopinti e fedeli, sia italiani che bengalesi: Matteo, Shipon, Tangir; a un concerto si innamora di Elena (Carlotta Antonelli), e con lei scopre tutta la bellezza e la difficoltà di un amore interrazziale. E’ un ragazzo come tanti, insomma, ma con un retroterra e una sensibilità culturale che gli permettono (anche e soprattutto a livello registico) di guardare alla realtà dei nostri giorni in modo nuovo, con uno sguardo libero e anticonformista. Lo attendiamo con fiducia in ulteriori prove.
Serenity – L’isola dell’inganno, scritto e diretto dal regista e sceneggiatore inglese Steven Knight (l’autore di programmi e serie tv di successo come Peaky Blinders, Taboo e lo show Chi vuol essere milionario?, oltre che dei soggetti di Piccoli affari sporchi di Stephen Frears, 2002, e La promessa dell’assassino di David Cronenberg, 2007), è una pellicola dal plot intricato, che si presta (se si riesce a non tacciarlo di superficialità, data la ricorrenza di motivi, temi e figure piuttosto convenzionali) a molteplici interpretazioni come a non poche critiche. A Plymouth, nel mar dei Caraibi, vive tranquillamente il capitano della Serenity, Baker Dill (Matthew McConaughey), che per sbarcare il lunario accompagna milionari in battute di pesca, con l’unico desiderio di catturare Justice, un enorme e sfuggente tonno. L’improvviso arrivo di Karen (Anne Hathaway), sua avvenente ex moglie – in fuga con il figlio Patrick da Frank (il Jason Clarke di Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie), suo nuovo e violento marito, porta scompiglio sia nell’esistenza di Baker che in quella della sonnacchiosa cittadina di Plymouth: la sconvolgente proposta di Karen è infatti quella di uccidere Frank, per un compenso di dieci milioni di dollari. Una parte della critica ha bocciato integralmente il film, tacciandolo di prevedibilità, soprattutto per quel che riguarda i personaggi principali, in effetti tutti piuttosto tipizzati: la narrazione rientrerebbe nell’alveo di un genere noir con venature psicologiche già esplorato e conosciuto. Knight, tuttavia, innesta – con esiti non del tutto coerenti – nel corpo del thriller una diramazione “sci-fi” con risvolti metafisici a tratti complicata ma anche frutto della sua esperienza di sceneggiatore, sulla scia di altre opere simili, quali The Truman Show di Peter Weir (1998), Matrix dei fratelli Wachowski (1999) o Inception di Christopher Nolan e Shutter Island di Scorsese (entrambi del 2010). I temi messi in campo diventano, allora, meno scontati, con maggiori implicazioni: dal conflitto tra realtà e sogno, alla domanda sulla natura stessa del reale, con le sue presunte multidimensionalità. Un viaggio nella mente, insomma, affine a quello compiuto da altri autori: non peregrino, soltanto più confuso.
Barbara Rossi