Dopo essere stato presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Mektoub, My Love – Canto Uno, del regista tunisino Abdellatif Kechiche (Cous Cous, La vita di Adele), arriva nelle nostre sale, deliziando il nostro sguardo, i sensi, l’intelletto. E parlandoci, ancora una volta – tema e assolo principale nella cinematografia di Kechiche – delle imprevedibili onde del destino (“mektoub”), che lambiscono le spiaggie del Mediterraneo nella lunga e calda estate del 1994. Amin (Shain Boumedine) ritorna da Parigi a Sète, piccolo paese di pescatori nel sud della Francia. Ha nel cassetto la sceneggiatura di un film, per cui ha lasciato gli studi di medicina. Ma l’estate chiama, le scelte di vita possono attendere. Lì, in riva al Mediterraneo, ci sono i giochi d’acqua e le schermaglie amorose con Ophélie (Ophélie Baufle), Charlotte (Alexia Chardard) e Céline (Lou Luttiau), ci sono Tony (Salim Kechiouche) e tutti gli altri ragazzi, abitatori di un eterno presente. Interpretato per la maggior parte da giovani attori non professionisti (a eccezione di Hafsia Herzi (Camélia, già vista, ragazzina, in Cous Cous), Mektoub, My Love è un canto orfico di rara bellezza, una vertiginosa e palpitante immersione nel mistero e nell’ambiguità della giovinezza, dentro i labirinti dell’attrazione, del rapporto con l’altro e con se stessi, con il richiamo del corpo, della sensualità. Romanzo di formazione al primo atto (è già pronto il secondo), il film ruota intorno al personaggio di Amin, dalla cui prospettiva estremamente ravvicinata guardiamo alla vita, al mondo, ai passaggi del tempo, di una stagione, mentre lo sguardo diventa pura durata, lentezza dell’esistere e del raccontare. “L’ambientazione temporale degli anni Novanta nasce dal fatto che per capire il secolo in arrivo, bisogna entrare negli ultimi anni di quello precedente”, sottolinea Kechiche. “Un’epoca, quella, in cui si viveva in modo più armonioso. “Non volevo parlare di me, non volevo spiegarmi. Tutti abbiamo avuto delle esperienze amorose in gioventù. Non ho la personalità dei miei protagonisti ma posso identificarmi in ognuno di loro. Li guardo, li osservo, li amo, tutto qui. Li analizzo senza giudicarli. Mi fanno domande sul mektoub, sul destino, sulla natura del bene e del male e sulla loro ambiguità. Aspiro a fare in libertà dei film che siano anch’essi liberi, realizzati con pochi mezzi, e con l’intento di raccontare una storia, di partecipare al risveglio dell’anima. Questo film vuole essere un inno alla vita e alla luce, un’ode alla bellezza, una storia gioiosa ed euforica che analizzi le conseguenze di azioni passate sul presente. Questa luce è la libertà di pensiero, la libertà che rivendico”.
Sergio & Sergei – Il professore e il cosmonauta, in programmazione al cinema Macalle’ di Castelceriolo, racconta in chiave di commedia leggera (a firma del regista cubano Ernesto Daranas) una storia vera, quella dell’astronauta russo Sergei Krikalev, che rimase 803 giorni in orbita nello spazio attorno alla Terra, a bordo della stazione Mir, dal 19 maggio 1991 al 25 marzo 1992. Un tempo lunghissimo, smisurato, a causa dell’improvviso dissolvimento dell’Unione Sovietica. Daranas, con arguzia e leggiadria, prende spunto liberamente da questa vicenda emblematica per narrare il crollo dell’ideologia comunista, la fine dell’Urss, lo sfilacciarsi dei rapporti tra Russia e Cuba. Il tutto filtrato attraverso il tragicomico dipanarsi dell’amicizia estemporanea tra l’astronauta Sergei (Héctor Noas) e Sergio (Tomás Cao), professore cubano di filosofia marxista e radioamatore appassionato, che un giorno per caso intercetta la voce del novello Ulisse disperso nello spazio, decidendo di aiutarlo (anche grazie all’aiuto del “collega” americano Peter – Ron Perlman). Una pellicola ironica, surreale, dolceamara su di una svolta epocale della storia contemporanea, pittoresca e infarcita di motivi musicali, da Nathalie di Gilbert Becaud a El ritmo Pilon di Pacho Alonso, alla finale (e struggente) Piove di Domenico Modugno.
Barbara Rossi