Il piacere, la libertà, la frenesia gioiosa della danza:soprattutto questo racconta Le Grand Bal della documentarista francese Laetitia Carton, che ha deciso di raccontare l’edizione 2016 del Grand Bal de L’Europe, festival estivo di danze popolari che monopolizza l’attenzione del pubblico presente nel paesino di Genetinnes, in Alvernia. La mattina si va a scuola di ballo, dal pomeriggio a notte fonda ci si scatena sulla pista, senza interruzione, cimnetandosi in coreografie di ogni tipo fino all’esaurimento delle forze. La Carton si immerge nel vortice dei movimenti dei ballerini, dentro l’allegro rimescolamento di età, generazioni, corpi, piedi e gambe, filmando con partecipazione e immediatezza visiva l’eterna pulsione del danzare, creatività e sfogo, improvvisazione, sapienza e alchimia. Il ballo – o, meglio, “Le Grand Bal” è contemporaneità, presente vissuto attimo per attimo, ma anche memoria e ricondivisione di sonorità, figure, gesti che riemergono da un passato e da una società lontani nel tempo, ma – fortunatamente – ancora non del tutto perduti.
L’ottantenne maestro e protagonista del nostro cinema Marco Bellocchio (dalle opere degli anni Sessanta I pugni in tasca e La Cina è vicina sino alle più recenti Buongiorno, notte, L’ora di religione e Vincere), ricostruisce ne Il traditore la complessa e contraddittoria personalità del superpentito Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino in uno dei suoi ruoli più convincenti e maturi), mettendola in relazione non soltanto a quella del giudice Giovanni Falcone – che grazie alle sue rivelazioni riuscì ad imbastire il fondamentale Maxiprocesso a Cosa Nostra del 1986 – ma anche ad altre del suo contesto di nascita ed appartenenza. Dall’ex compare trasformatosi in oppositore Pippo Calò (Fabrizio Ferracane) al pentito numero 2 Totuccio Contorno (un Luigi Lo Cascio altrettanto convincente ed efficace), sino a Totò Riina (Nicola Calì): figure difformi, espressioni di un cancro, di una metastasi troppo ramificata, troppe volte ormai incontrollabilmente riprodottasi. Il vuoto dello Stato, della politica, delle istituzioni, la mentalità mafiosa e inquinante, la lotta dei pochi contro i molti: Bellocchio racconta senza eccessi, sospeso tra realismo e simbolismo, non mitizzando Buscetta come non aderendo alla mitopoiesi del “mostro”. Una pellicola asciutta, senza retorica, “antropologica”, attraversata da un profondo desiderio narrativo: unica italiana candidata alla Palma d’Oro 2019 a Cannes, all’esordio festivaliero le sono stati tributati ben tredici minuti di applausi.
Barbara Rossi