Primo film americano e in lingua inglese del regista francese Jacques Audiard (Palma d’oro a Cannes per Dheepan – Una nuova vita, 2015, ha ricevuto anche il Grand Prix Speciale della Giuria per Il profeta, 2009 – che è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero – e il Prix du scénario per Un héros très discret, 1996), I fratelli Sisters è la trasposizione cinematografica del romanzo di Patrick deWitt Arrivano i Sister, pubblicato nel 2011. La pellicola, che ha ottenuto il Leone d’Argento lo scorso anno alla Mostra del cinema di Venezia e diversi premi César, è ambientata nell’Oregon del 1851, in cui vivono Eli (John C. Reilly) e Charlie (Joaquin Phoenix) Sisters, fratelli pistoleri impiegati da Commodore (Rutger Hauer) come sicari: a loro viene affidata un’impervia missione, quella di inseguire e rintracciare il cercatore d’oro Hermann Warm (Riz Ahmed), in fuga sulle piste che corrono verso la California. Sulle sue tracce c’è anche John Morris (Jake Gyllenhaal), investigatore che si farà circuire da Warm e dal metodo che ha inventato per scovare l’oro, separandolo dai metalli senza valore. Le liti tra i fratelli Sisters sono all’ordine del giorno, i caratteri opposti e la posta in gioco alta: a tal punto che Eli, il più riflessivo dei due, inizia a domandarsi quale sia il senso del loro agire. Parodico, sulfureo, tragicomico, rivisitazione in chiave post-moderna del western classico americano, I fratelli Sisters mette in scena personaggi emblematici e, un po’ alla maniera di La ballata di Buster Scruggs dei Coen, mette alla berlina entro un orizzonte di amarezza, fallimenti e speranze deluse il continuo affannarsi dell’uomo dietro i sempiterni miraggi del denaro, della gloria, del potere. In realtà, sembra voler dire anche Audiard, il cielo e la terra sono vuoti, gli uomini solo piccole, insignificanti pedine di una partita a scacchi in cui l’unico vincitore è il destino cieco.
Il regista e documentarista cipriota Marios Piperides firma con Torna a casa, Jimi! – 10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro (suo primo lungometraggio narrativo, premiato al Tribeca Film Festival), una commedia brillante, ingegnosa e dolorosa, in cui – attraverso la bizzarra vicenda dello “sconfinamento” di un cane dalla parte greca a quella turca dell’isola, superando la zona cuscinetto creata dall’Onu nel 1974 con funzione pacificatrice – racconta la ferita dolorosa e mai rimarginata dell’invasione turca, avvenuta proprio in quell’anno, della parte settentrionale di Cipro. Un atto estremo, deciso per ritorsione nei confronti di un tentato golpe della Grecia, che ha spaccato in due la capitale Nicosia e creato – nel 1983 – una Repubblica Turca Indipendente di Cipro del Nord, non riconosciuta da nessuno, a parte la Turchia stessa. Il film di Piperides esplicita non solo la sofferenza collettiva, ma anche e soprattutto i drammi privati, lo sgretolamento progressivo e inarrestabile di legami familiari, amicali, sentimentali (come quello finito tra Yiannis-Adam Bousdoukos, il musicista oppresso dai debiti protagonista della storia, e Kika-Vicky Papadopoulou, la sua fidanzata). Sullo sfondo, come aggravante, il degrado di interi quartieri, preda della malavita che perseguita a causa dei debiti accumulati anche Yannis e un circo di personaggi strampalati, abituati a vivere di espedienti, come Tuberk (Özgür Karadeniz), oppure al limite, in terre di nessuno, come fa Hasan (Fatih Al), nella casa d’infanzia di Yannis, che dopo l’occupazione si trova sul confine turco. Al centro di ogni complotto o commercio, Jimi, il tenero cagnolino di Yannis, che dopo aver sconfinato senza colpa né intenzione, costringe il suo proprietario, in partenza per l’Europa, a un soggiorno forzato in una Cipro lacerata e divisa, per salvarlo da un’eterna prigionia tra mondi contigui e inconciliabili. Quattro giorni diegetici per portare a termine l’impresa, provando a ricucire fratture personali e strappi collettivi, a oltrepassare i confini constatandone l’assurdità e l’inutilità: Piperides colpisce al cuore e alla coscienza con uno stile denso ma che rimane, ugualmente, leggero, godibile, autoironico. Una pellicola intelligente, divertente ma – anche se non appare a prima vista – molto impegnata e impegnativa.
Barbara Rossi