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In questo fine settimana le nuove uscite cinematografiche ci propongono, per iniziare, due storie dissimili ma parallele, di produzione italiana e con una buona unione tra nuove e vecchie leve del nostro cinema, a comporre ancora una volta il ritratto di un Paese in crisi ma anche in continua trasformazione.

Con Il tuttofare Valerio Attanasio, giovane regista alla sua opera prima e sceneggiatore di Smetto quando voglio e Gianni e le donne, mette in scena – grazie anche alle ottime interpretazioni dell’altrettanto giovanissimo Gugliemo Poggi (Smetto quando voglio, L’estate addosso), di Elena Sofia Ricci e specialmente di Sergio Castellitto, che giganteggia nel suo ingombrante personaggio – l’irrisolta questione del precariato giovanile e dell’incontro-scontro con i giochi di potere e le baronie presenti in certi contesti lavorativi. L’andamento è quello della commedia, ma il messaggio amarissimo: Antonio Bonocore (Poggi), giovane praticante di belle speranze in uno studio legale, è costretto, per imbastire i fili esilissimi della sua carriera, a ricoprire ruoli e praticare mansioni molto spesso stranianti e umilianti, oppresso dalla straripante personalità, avvezza alle prevaricazioni, del suo datore di lavoro, l’illustre avvocato e principe del Foro Toti Bellastella (Castellitto). Un’esperienza ormai divenuta, con l’andare del tempo, transgenerazionale, raccontata da Attanasio e dal suo cast di attori con ironica consapevolezza e cura, dalla sceneggiatura alle musiche, con soltanto qualche scivolone nelle scelte di regia.

Numa Tempesta (Marco Giallini) è un ricchissimo affarista, totalmente privo di scrupoli, in procinto di iniziare una nuova e spregiudicata avventura finanziaria in Kazakistan: inaspettata, la vita irrompe con la forza di un uragano (non a caso, visto il cognome del personaggio) a chiedergli il conto, sotto forma di una condanna per una vecchia frode fiscale da scontare lavorando per i servizi sociali in un centro di accoglienza. Da qui inizierà il viaggio di Numa alla scoperta di un mondo problematico e spesso incoerente, a lui sconosciuto, con la possibilità di comprendere, molto al di là del denaro, che cosa abbia realmente valore. Dopo Chiamatemi Francesco, sulla vita di papa Bergoglio, con Io sono tempesta Daniele Luchetti torna a raccontare la società italiana  di oggi, nelle sue mille sfumature e contraddizioni, attraverso la parabola di Numa e la sua odissea nell’universo dei diseredati, dei senza fissa dimora, dei padri abbandonati a loro stessi, come Bruno (Elio Germano). Ottimo racconto corale, che riesce ad amalgare molto bene sia la recitazione degli attori professionisti (bravi anche i giovani, da Eleonora Danco nel ruolo di Angela, la direttrice del centro di accoglienza, a Francesco Gheghi-Nicola, il figlio di Bruno) che quella degli interpreti non di professione, come Franco Boccuccia. Purtroppo la storia a lungo andare si sfilaccia un po’, devia, si smarrisce, sembra perdere respiro e senso: rimane l’intenzione, la bravura indiscussa di un autore come Luchetti, sempre calato nella realtà delle urgenze sociali e dei bisogni umani.

Cambiando radicalmente contesto e cornice, risulta interessante l’ultima fatica cinematografica del francese Francois Ozon, Doppio amore, che vede protagonista Marine Vacth, già inquieta e conturbante interprete di Giovane e bella (2013), qui nei panni di Chloé, quasi un prolungamento di Marine ma più ansiosa, tormentata, con minore spregiudicatezza. Chloé intrattiene una relazione amorosa con Paul (Jérémie Renier), inizialmente il suo psicoanalista, poi amante con alcuni scheletri nell’armadio. Tra citazioni hitcockiane e formalismi alla De Palma, figure ossessive, doppi, ripetizioni, scale a guisa di spirale, enormi ambienti asettici e vuoti, Ozon fruga tra sentimenti, passioni, espressioni di un medesimo Io contemporaneo malato e in crisi, ponendo allo stesso modo sotto la lente d’ingrandimento il corpo e l’anima. Un film forse più irrisolto rispetto ai precedenti di Ozon, che a tratti ricorda il Cronemberg de Inseparabili, esteticamente compiaciuto, scomodo, urticante.

Barbara Rossi

 

 

 

 

 

 

 

doppio amore