Il quarantenne regista Alessio Maria Federici, già autore di “Fratelli unici” con Raoul Bova e Luca Argentero e “Tutte lo vogliono”, con Vanessa Incontrada ed Enrico Brignano, torna a raccontare, attraverso la commedia di costume, la sua generazione, immersa fino al collo nelle problematiche quotidiane di un Bel Paese in crisi di identità. Luca (Pietro Sermonti) è un attore quarantreenne, che per sbarcare, con estrema difficoltà, il lunario si spende come insegnante di dizione. Un bel giorno, Luca casualmente e per un soffio salva da morte certa un suo giovane studente calabrese, Mario (Moisè Curia): la scena avviene sotto lo sguardo attonito della zia del ragazzo, Angela (Lucia Ocone). Da quel momento in poi, ironia del destino, le cose per Luca cominceranno a migliorare in molti ambiti: Mario e Angela appartengono alla stirpe dei Serranò, potentissima famiglia dell’ndrangheta capitolina. Commedia satirica con sfumature noir, divertente, ben scritta (da Andrea Garello e Giacomo Ciarrapico, che hanno firmato alcune delle commedie italiane di maggior successo degli ultimi anni, da Smetto quando voglio a Boris e Ogni maledetto Natale) e recitata (esilarante Nino Frassica nei panni del boss don Peppino), Uno di famiglia aiuta a riflettere, tramite i dubbi e i tormenti morali di Luca, su di una realtà nazionale talmente in crisi da arrivare a sentirsi attratta dal fascino torbido e corrotto della malavita organizzata, pur di garantirsi sopravvivenza e futuro. L’amarezza è d’obbligo, pur nella piacevole e graffiante corrovisità del costrutto filmico.
Sebastián Lelio, premio Oscar nel 2018 per Una donna fantastica, traspone nel suo primo film in lingua inglese l’omonimo romanzo d’esordio della scrittrice ebrea ortodossa Naomi Alderman, vincitrice dell’Orange Prize for New Writers 2006 e del Sunday Times Young Writer of the Year Award 2007. Disobedience, che si avvale delle appassionate interpretazioni di Rachel Weisz nel ruolo di Ronit (ed è anche produttrice del film), Rachel McAdams (Esti) e Alessandro Nivola (Dovid), è un’onesta e rigorosa riflessione in chiave di melodramma sul responsabilità e colpa, libero arbitrio e destino, sentimento e ragione, libertà di scelta. La pellicola, ambientata all’interno della comunità ebraica londinese, mette in scena il triangolo amicale e sentimentale tra Ronit, Esti e Dovid, ricreato a distanza di anni in seguito alla morte, nel corso di una pubblica orazione, del rabbino capo Rav Krushka, padre di Ronit. La giovane e dinamica fotografa, fuggita anni prima dal claustrofico ambiente di nascita per coltivare la possibilità di dar forma liberamente alla propria vita, si ritrova d’un tratto a doversi confrontare con fantasmi familiari provenienti dal passato: tra questi, una passione mai sopita per Esti, ora moglie di Dovid. Con dolore e difficoltà, ma anche interiorizzando il messaggio finale del rabbino capo, con l’evidente riferimento alla libertà di scelta, i tre personaggi messi in scena dalla Alderman e da Lelio impareranno i valori della comprensione, dell’accettazione e dell’esercizio della facoltà di decidere responsabilmente della propria esistenza. Il regista cileno, come già in Una donna fantastica, prosegue il suo lavoro di scandaglio entro la psicologia di personaggi femminili complessi e sfaccettati, tesi alla ricerca di un’identità sociale che corrisponda alla propria natura più profonda.
Barbara Rossi