Dwayne Douglas Johnson, conosciuto come “The Rock”, wrestler come la maggior parte degli uomini della sua famiglia, da più generazioni, e attore americano-canadese dalle ascendenze samoane, è il protagonista di Skyscraper di Rawson Marshall Thurber, sui nostri schermi in questo fine settimana di luglio. A metà strada fra thriller e disaster movie, la pellicola – dal target tipicamente estivo, come se si ritenesse che la canicola prepotente riducesse a zero qualsiasi capacità critica spettatoriale – racconta con grandioso dispiego di effetti di scena ed espedienti tecnologicamente avanzati ma prevedibili, la movimentata vicenda dell’ex veterano di guerra e agente dei servizi segreti a stelle e strisce Will Sawyer, privato di una gamba durante una missione vecchia di dieci anni e ora addetto alla sicurezza del più moderno e avveniristico grattacielo di Hong Kong, dove tra l’altro risiede con moglie e due figli. Quando il fantascientifico edificio prende fuoco, in un incendio di natura dolossa, il nostro dovrà lanciarsi in rocambolesche avventure per dimostrare la propria innocenza e, nel contempo, sconfiggere i malvagi di turno. Un film prevedibile, piatto per ambientazione ed espedienti narrativi, ma perfettamente in linea con quanto si aspettano gli appassionati del genere. L’inferno di cristallo e gli altri film catastrofici di pari livello sono lontanissimi, ma forse poco importa, se in queste calde serate estive si cerca soltanto un intrattenimento fine a se stesso e a buon mercato.
Borg McEnroe del regista danese Janus Metz Pedersen – in proiezione nel weekend al cinema Macalle’ di Castelceriolo (Al) – ricostruisce con efficacia lo scontro epocale tra i due assi e rivali del tennis Bjorn Borg (Sverrir Gudnason) e John McEnroe (Shia LaBeouf), avvenuto nel corso della finale del torneo di Wimbledon, nell’estate del 1980. I due attori, soprattutto LaBeouf, incarnano alla perfezione, nella gestualità e nel comportamento esteriore rivelatore del carattere le contrapposte personalità dei due campioni, che assurgono a simbolo di un’epoca, sportiva e soprattutto mediatica. L’ultimo match fra i due si trasforma, dunque, in una metaforica resa dei conti, in un duello al sole sotto la cui patina brillante e fumantina traspare la fondamentale solitudine di due uomini costretti a fare i conti non solo con il proprio talento ma anche con idiosincrasie, ansie da prestazione, debolezze di vita. Una pellicola ritmata, narrativamente matura, con parecchi spunti di riflessione non solo per chi si incanta di fronte alle rese dei conti sportivo-televisive.
Barbara Rossi