Nicolai Fuglsig, autore pubblicitario danese, realizza – su produzione di Jerry Bruckheimer – un war movie tratto dal libro di Doug Stanton “Horse Soldiers”, in cui si ricostruisce la vera storia della squadra speciale Alpha 595 comandata dal capitano Mark Nutsch (nel film Mitch Nelson-Chris Hemsworth), che subito dopo gli attacchi dell’11 settembre 2011 alle Torri Gemelle di New York partì per l’Afghanistan con l’obiettivo di spezzare la resistenza talebana. 12 Soldiers è un’opera prima che si immette senza troppa originalità nella vasta categoria del film bellico contemporaneo, rielaborando avvenimenti recenti in maniera convenzionale, a tratti chiassosa e roboante, molto manicheista e superficiale (i bravi e patriottici americani da una parte, gli islamici estremismi dall’altra) e senza alcun approfondimento psicologico dei personaggi. Il plot, a dispetto di tutto, funziona, il ritmo e l’azione sono garantiti, ma il tutto risulta, purtroppo, schematico e raffazzonato in quanto a cronaca storica e militare. La figura di Abdul Rashid Dostum (Navid Negahban), ambiguo e sanguinario eppure fascinoso signore della guerra uzbeko, sembra tagliata con l’accetta a soli scopi spettacolari. Appare abbastanza evidente che Fuglsig non possiede la capacità rievocativa e il criticismo antieroico nel ripensare il passato recente di un Eastwood: rimane la crosta fragili, lo strato superficiale di un racconto che riesce ad appagare più lo sguardo che la ragione e il cuore.
Una donna fantastica, del regista cileno Sebastián Lelio – in questo fine settimana in seconda visione al cinema Macalle’ di Castelceriolo (Al) – è stato vincitore del premio Oscar 2018 per il miglior film straniero, oltre che dell’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2017. A Santiago del Cile la giovane e attraente Marina Vidal (Daniela Vega) coltiva un gratificante e felice rapporto amoroso con Orlando (Francisco Reyes), imprenditore tessile con una ventina d’anni in più rispetto a lei. La sera del compleanno di Marina Orlando – colto da un malore – cade dalle scale, morendo poco dopo in ospedale. Da qui inizierà il lungo e sofferto cammino di Marina non solo verso l’elaborazione del lutto per la scomparsa del compagno, ma soprattutto verso la piena rivendicazione dei suoi diritti di donna e di essere umano, discriminato in primis dalla famiglia dello stesso Orlando a causa della sua natura di transgender. Pablo Larrain, autore di Neruda e Jackie, qui nelle vesti di produttore, focalizza la sua attenzione sul tema della diversità percepita come tale e in chiave forzatamente negativa solo da chi non ha abbastanza strumenti emotivi e culturali per osservare la realtà con sguardo trasparente e scevro da preconcetti (vedi l’ex moglie di Orlando, la sua famiglia, l’assistente sociale che si occupa del caso). Daniela Vega conferisce grande forza psicologica a Marina, personaggio a tutto tondo, sfaccettato, variegato, l’unica a sapere realmente chi è in un mondo di benpensanti schiacciati dall’appartenenza a ruoli sociali e di genere il più delle volte obbligati. Il film, a parte qualche leggero smarrimento nella rappresentazione più codificata e banale per questo tipo di storia, merita tutti i premi attribuiti. “Io quando ti guardo non so che cosa vedo”, confessa a Marina Sonia (Aline Küppenheim) l’ex moglie del compagno che ha perduto. Una domanda, questa, che se ha un senso deve valere per ogni essere umano, non soltanto per Marina.
Barbara Rossi