Questo piovoso weekend di quasi metà marzo ci porta al cinema con una commedia british divertente e scanzonata (anche se non priva di risvolti umani e sociali) e con un dramma da camera di produzione italiana, protagonista una straordinaria attrice inglese.
Ricomincio da noi, di Richard Loncraine (Riccardo III, con Ian McKellen, e Wimbledon), mette in scena in chiave ironica ma non troppo la storia di Sandra (Imelda Staunton), elegante signora dell’alta borghesia inglese, sposata a un funzionario di polizia in pensione, campione di tennis. Sandra è la tipica espressione del suo ceto sociale: esigente, molto snob, chiusa nel proprio mondo dorato. Quando, però, la vita cambia all’improvviso, dopo la scoperta del tradimento da parte dell’irreprensibile consorte con una donna più giovane di lei, Sandra si rifugia dalla sorella Elizabeth (Celia Imrie) – Bif per gli amici – eccentrica e sempre un po’ sopra le righe, facendo nuovi incontri e andando incontro a esperienze insospettate. L’incontro con Charlie (Timothy Spall) e la frequentazione di una scuola di ballo le permetteranno di riscoprire chi è davvero, oltre la maschera imposta dalle convenienze sociali. Finding your feet (il titolo originale del film) è davvero un’opera sul “trovare il proprio passo”, sfidando il trascorrere del tempo, gli imprevisti del destino, le pressioni sociali, le personali ritrosie e i blocchi emotivi. L’evoluzione del personaggio interpretato da Imelda Staunton è evidente e innegabile, simboleggato dall’apertura alla danza, al mondo, al prossimo che si concretizza nell’eliminare le scarpe col tacco, per camminare o correre (o ballare) alla medesima altezza delle persone comuni. Il film ha qualche momento prevedibile, qualche banalità, ma viene portato in alto dalla resa attoriale del magnifico trio Staunton-Spall-Imrie.
Dopo il convincente esordio del 2013, con Medeas (presentato a Venezia – Orizzonti), il regista trentino Andrea Pallaoro ritorna sul grande schermo con Hannah, il racconto scabro e doloroso dello smarrimento esistenziale di una donna posta di fronte, all’improvviso, a un crocevia di scelte, alla scomparsa del rassicurante battito del quotidiano. Hannah (una straordinaria Charlotte Rampling – Coppa Volpi allo scorso Festival del Cinema di Venezia – che lavorando per sottrazione, di parole, di espressioni, di gesti, porta sulle proprie forti spalle d’attrice il peso del suo personaggio) ha perso i suoi affetti, gran parte del mondo: il marito, che è stato arrestato, il figlio, che si rifiuta di avere un qualsiasi dialogo con lei. Ricostruire una vita decente e, insieme, se stessa, pare davvero una sfida troppo ardua. Per questo il suo è l’inizio di un viaggio verso l’annichilimento, il distacco dalle persone e dalle emozioni, la progressiva rarefazione delle parole. Pallaoro filma lo sguardo gettato verso l’abisso di una figura femminile convincente e intensa, con uno stile ruvido, anti-narrativo, che si avvale di frequenti primi piani sul volto segnato della Rampling, mentre – per contro – la realtà esterna sembra farsi sempre più lontana, immersa in un silenzio liquido e assordante. In certi momenti Hannah potrebbe ricordare L’avenir (2016), con l’egualmente in crisi Isabelle Huppert, diretta da Mia Hansen-Løve. La differenza è che nel film di Pallaoro non ci sono pertugi, spiragli, varchi attraverso cui sbirciare alle “cose che verranno”.
Barbara Rossi