Due pellicole molto interessanti ci attendono al cinema in questo fine settimana di metà febbraio: il pluricandidato (a ben tredici premi Oscar) e vincitore del Leone d’oro alla 74esima edizione del Festival del Cinema di Venezia La forma dell’acqua, del genio visionario Guillermo del Toro, e A casa tutti bene, ennesimo racconto corale del nostro Gabriele Muccino.
Nella Baltimora del 1962 Elisa Esposito (Sally Hawkins) è una giovane addetta alle pulizie in un laboratorio governativo in cui vengono condotti esperimenti scientifici nel contesto della guerra fredda che coinvolge americani e russi. Elisa è muta, e le uniche sue amicizie solidali rispetto a una società profondamente discriminante nei confronti di ogni diversità sono rappresentate da Zelda (Octavia Spencer), afroamericana in perenne lotta, dentro e fuori casa, per l’affermazione dei propri diritti, e Giles (Richard Jenkins), omosessuale suo vicino di casa, costantemente inibito nell’attività lavorativa. Un giorno Elisa scopre che nel laboratorio dove lavora è costretta in cattività una strana creatura anfibia, che viene sfruttata come cavia in una lotta senza esclusione di colpi tra le due superpotenze che si contendono il mondo. Nascerà un’amicizia speciale, che muterà profondamente il destino di Elisa. Già avvezzo ai racconti fantastici (vedi Il labirinto del fauno), creatore di videogames e scrittore di genere, Del Toro mette in scena e ci narra una favola, amara e dolce, come tutte: lo fa attraverso le splendide interpretazioni, specularmente contrapposte, di Sally Hawkins e Michael Shannon, e per mezzo di uno script azzeccato, di una scenografia amabilmente anni cinquanta e parallelamente fuori del tempo, di una fotografia brunita, a tratti giocata sui cromatismi. E poi c’è l’acqua, elemento primario, utero, placenta, passato e futuro dell’uomo; c’è l’incredibile, spettacolare bellezza della diversità; c’è, infine, la crudeltà dell’essere umano e insieme la sua indomita capacità di provare ancora amore.
Con A casa tutti bene Gabriele Muccino torna, dopo l’altalenante e frammentato periodo cinematografico americano, ai temi che più gli stanno a cuore, quelli dell’incomunicabilità fra gli individui, della crisi dei rapporti amorosi, dell’ansia transgenerazionale di capire finalmente chi si è e dove si va (vedi L’ultimo bacio e Baciami ancora). Pietro (Ivano Marescotti) e Alba (Stefania Sandrelli) decidono di festeggiare il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio in una piccola isola del sud Italia, circondati dai tre figli Carlo (Pierfrancesco Favino), Sara (Sabrina Impacciatore) e Paolo (Stefano Accorsi), con i rispettivi coniugi e compagni. Il mare grosso, il maltempo improvviso costringeranno, però, la solo apparentemente serena compagnia a una convivenza forzata che, ben presto, assumerà toni drammatici e il sapore di un passato mai risolto. Avvalendosi, come spesso sin dagli esordi, di un cast di attori molto bravi e tutti all’altezza del ruolo (da Carolina Crescentini a Claudia Gerini, da Massimo Ghini a Giampaolo Morelli, Valeria Solarino e Gianmarco Tognazzi), Muccino si ritrova (ma speriamo si tratti non di casualità, bensì di scelta) a girare sempre il medesimo film, probabilmente perché i nodi tematici che continua a mettere in campo non sono ancora stati del tutto dipanati e risolti. E’ ciò che accade anche a tutti i personaggi che animano l’atmosfera di questa storia controversa, fatta di alti e bassi emotivi, sentimentali, esistenziali: irrisolta, come irrisolti sembrano essere loro stessi, ancora, ma forse non per sempre, irrigiditi dentro le loro solitudini, manie, malesseri, ambizioni frustrate, quotidiani egoismi. Spinti, anche con un pizzico di violenza, in quest’ultima scena, a fare (finalmente) i conti con la realtà, interiore ed esterna. L’unica via, in fin dei conti, ma non ci metteranno molto ad accorgersene, per edificare il futuro.
Barbara Rossi