Il weekend prenatalizio si apre con i fuochi d’artificio di Star Wars: Episodio VIII – gli ultimi Jedi, scritto e diretto da Rian Johnson e ovviamente prodotto dalla Lucas Film, ottavo film del ciclo di Guerre stellari e terzo della trilogia iniziata con Star Wars: il risveglio della Forza. La Resistenza è costantemente attaccata dal Lato Oscuro, per questo Rey (Daisy Ridley) cerca di convincere Luke Skywalker (Mark Hamill) a intervenire per salvare il mondo, recuperando la sua antica spada laser. Luke, però, non vuole tornare sui propri passi e la situazione si fa sempre più fosca, senza apparente via d’uscita. Star Wars: Episodio VIII – gli ultimi Jedi prosegue a forza la saga nella saga, blockbuster oramai svuotato del suo significato e della densità originaria rispetto all’universo fantastico ideato e portato sullo schermo quarant’anni fa da George Lucas. Nonostante il ritorno dei “vecchi” protagonisti della storia, da Mark Hamill alla compianta Carrie Fisher, o forse proprio per questo, lo scarto nei confronti della sacra mitologia lucasiana è evidente, indebolendo l’effetto finale. La narrazione, con effetti involontariamente umoristici, ritorna in perpetuo su se stessa, si avviluppa, si stravolge e contorce, mette in campo, con la consueta megalomania di effetti speciali digitali e scene madri, troppi personaggi, situazioni, piste, tracce, sottotesti. Gli appassionati apprezzeranno in ogni caso, si spera con la consapevolezza di trovarsi “in una galassia lontana lontana…”.
La principessa e l’aquila, primo film documentario del regista di origini anglosassoni Otto Bell presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016 (in questi giorni in proiezione al cinema Macalle’ di Castelceriolo, Alessandria), narra la storia vera di Aishoplan, una ragazzina mongola tredicenne, la prima donna a diventare addestratrice di aquile sino ad arrivare alla partecipazione al prestigioso Festival dell’Aquila Reale. La pellicola racconta la tradizione millenaria dei cacciatori nomadi con le aquile, la loro società, il tipo di vita, la struttura familiare e patriarcale, la chiusura ma anche le timide aperture verso una presenza femminile che, lentamente ma con motivazione e sicurezza, cerca di farsi strada. Genuina, autentica, cristallina e forte, coraggiosa, la figura di Aishoplan, colta nei momenti essenziali dell’addestramento sotto la guida del padre, nel rapporto con l’aquila, nei continui spostamenti sullo sfondo di una fra le zone più deserte e solitarie del mondo. Ottimo stile di regia, magnifiche immagini, supportate dalla bellezza mozzafiato degli scenari naturali dei monti Altai, tra la Mongolia e la Cina.
Barbara Rossi