In occasione dei trent’anni dalla scomparsa della diva, avvenuta il 15 aprile 1990, riproponiamo il suo “ritratto”.
Il 18 settembre 1905, a Stoccolma, da Karl Alfred Gustafsson, netturbino, e Anna Lovisa Karlsson, lavandaia d’origine lappone, nasce Greta Lovisa Gustafsson, in arte Greta Garbo. Bambina e poi adolescente timida e introversa ma già con la passione del teatro, diventerà – tra gli anni Venti e i Trenta – una delle più grandi dive internazionali, espressione di un erotismo ambiguo e magnetico sotto la maschera di freddezza e perbenismo.
Di una bellezza elegante ma androgina, malinconica e misteriosa, Greta rimarrà nell’immaginario collettivo come una vera e propria dea, discesa sulla Terra a incarnare figure femminili disincantate e predominanti. «La Garbo mi ha sempre provocato una grande soggezione per il suo volto solenne da imperatrice monaca che incuteva grande rispetto», disse di lei Federico Fellini, mentre Roland Barthes la definì un volto “di neve e solitudine”.
Greta viene scoperta e lanciata nel mondo del cinema da Mauritz Stiller, il più grande regista svedese degli anni Venti. È lui che ne intuisce il fascino nascosto sotto il ruolo di commessa dei grandi magazzini, consigliandole i libri da leggere, fornendole nozioni di dizione, di comportamento e obbligandola a perdere dieci chili, per assumere in viso quell’aspetto scavato che diventerà uno dei suoi tratti distintivi. E’ sempre Stiller a trovarle anche il nome d’arte, che a suo parere deve essere “moderno, elegante, breve, internazionale”.
Il successo arriva dapprima in Svezia, nel 1924, con il film della durata di quattro ore La leggenda di Gosta Berling per la regia di Stiller, poi a Hollywood, dove la Metro Goldwyn Mayer la mette sotto contratto, imponendole un ulteriore dimagrimento.
La carne e il diavolo di Clarence Brown, suo quarto film del 1927, la consacra come novella icona di seduzione, misogina e spregiudicata. In tutta la sua carriera la Garbo gira ventisette film, dieci muti, ricevendo ben quattro candidature all’Oscar senza mai vincerlo, se si esclude quello alla carriera nel 1955. In breve tempo Greta diventa l’attrice più pagata di Hollywood, con un cachet di 250mila dollari a film.
“Garbo talks!”, “La Garbo parla!”: nel suo primo film sonoro, Anna Christie – sempre diretto da Clarence Brown, nel 1930 – la diva fa conoscere al mondo per la prima volta la sua voce calda, lievemente roca, attraente, conquistando nuovamente sia il pubblico che la critica. Nell’ultima parte della sua carriera passa alle commedie, a ruoli leggeri che, invece, non convincono del tutto, come avviene nel 1939 in Ninotchka di Ernst Lubitsch (“Garbo ride!”, annuncia la pubblicità del film) e in Non tradirmi con me di George Cukor, sua ultima apparizione sul grande schermo, nel 1941.
Così, a soli 36 anni, la divina scrive la parola finale su una carriera che non la soddisfa più e in cui non si riconosce, trascorrendo il resto del tempo – sino alla morte sopraggiunta all’età di 85 anni, il giorno di Pasqua del 1990 – in solitudine, a fuggire gli sguardi e le presenze indiscrete, viaggiando da un capo all’altro del mondo. «La mia fortuna era fondata sulla mia giovinezza, sull’apparire levigata», dirà un giorno. «È stato davvero un bene che io mi sia fermata in tempo… Sono invecchiata in fretta. Succede in America».
Barbara Rossi