Il weekend che anticipa la festa di Ognissanti arriva con tre proposte cinematografiche di tutto rispetto, a partire da La ragazza nella nebbia, esordio alla regia dello scrittore di thriller Donato Carrisi, dal suo romanzo omonimo (di cui firma anche la sceneggiatura). Carrisi traspone su grande schermo la trama noir che ruota intorno alla misteriosa scomparsa della sedicenne Anna Lou (Ekaterina Buscemi), una ragazzina in apparenza senza alcun problema esistenziale o familiare che vive nel piccolo paese di Avechot, tra le montagne, e il cui unico tratto distintivo sembra essere rappresentato dall’appartenenza a una congrega religiosa estremamente tradizionale. A seguire il caso viene chiamato l’ispettore Vogel (un composto ma silenziosamente ambiguo Toni Servillo), a sua volta implicato nelle ricadute di uno strano incidente e avvezzo allo sfruttamento del circo mediatico attuale per risolvere più velocemente gli intrighi. Ne emergerà, sotto la patina di tranquillità e rigido rispetto delle convenzioni della piccola comunità, una verità inattesa e terribile. Carrisi adatta il proprio romanzo con diligenza e cura, riferendosi e citando, da neofita delle immagini, contesti, atmosfere, scene e personaggi di opere cinematografiche e televisive d’autore, dal lynchiano I segreti di Twin Peaks a Fargo dei Coen a Seven e True detective di Fincher. Il film procede per accumulazione di indizi, di piste narrative, di inquadrature, di flashback e flashforward, a volte in maniera un po’ troppo macchinosa, con affastellamento di dialoghi e un montaggio caotico. Rimangono le buone interpretazioni di Jean Reno, nel ruolo di Augusto Flores, Greta Scacchi in quello di Beatrice Leman, e di Alessio Boni-prof. Loris Martini, il principale indiziato per la sparizione di Anna Lou. Acuta e approfondita, già nel romanzo d’origine, l’analisi-denuncia delle storture nella comunicazione a opera dei mass media e di chi se ne serve in modo inappropriato.
Vittoria e Abdul, di Stephen Frears, racconta l’incontro e la nascita della profonda e sincera amicizia tra la regina Vittoria d’Inghilterra (Judi Dench) e Abdul Karim (Ali Fazal), modesto ragazzo indiano, ventenne, scelto casualmente per consegnare un dono alla sovrana in occasione del giubileo per i suoi cinquantanni di regno, nel 1897. La storia, autentica, è tratta dall’ omonimo libro della scrittrice Shrabani Basu. Con il tempo, Abdul diventerà il segretario della regina Vittoria, oltre che suo principale confidente e maestro spirituale, osteggiato, come prevedibile, dalla corte e in particolare da Edoardo VII, figlio della monarca. Frears restituisce al pubblico e alla Storia, attraverso la ricerca compiuta dalla Basu, una storia parzialmente dimenticata, con il consueto stile franco ma elegante, autoironico, tipicamente “british”; avvalendosi dell’ormai collaudatissima collaborazione con Judi Dench, già interprete della sovrana in questione nel film del 1997 La mia regina. La pellicola, al di là dell’ottima ricostruzione d’ambiente e della vicenda in sè, costituisce un filtro per mettere in luce il problema quanto mai attuale dei rapporti tra etnie, fedi, culture differenti, con l’arguta consapevolezza della possibilità di conciliare gli opposti, di porre le basi – se lo si vuole – per un’armoniosa e civile convivenza.
A distanza di un decennio dall’abbandono della famiglia, coltivatrice di un cospicuo vigneto in Borgogna, Jean (Pio Marmai) fa ritorno a casa dall’Australia, dove si è formato una famiglia, a causa delle gravi condizioni del padre malato. Qui ritroverà il fratello Jérémie (Francois Civil) e la sorella Juliette (Ana Girardot): i tre dovranno, scomparso il capofamiglia, imparare a ritrovarsi, a vivere di nuovo insieme, facendo anche fronte alle necessità dell’azienda. Ritorno in Borgogna di Cédric Klapisch (Ognuno cerca il suo gatto, 1996) pone a nucleo della narrazione i legami famigliari difficili, spesso dolorosi, mai pacificati, ma quasi sempre con possibilità di riscatto. La campagna francese, i suoi colori, i suoi ritmi, le sue bellezze naturali rappresentano più che una cornice per la storia, facendo invece da contraltare, con la loro quiete, a un disordine, a delle tensioni che sono invece tipicamente umane e, per gli esseri umani, ardui da risolvere. Una pellicola armonica, una commedia senza pretese, eccessi, ma sensibile e intelligente, di ottima fattura.
Barbara Rossi