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Questo weekend di metà febbraio non riserva grosse novità cinematografiche, attestandosi su proposte di pellicole di genere e qualche sequel.
Si parte con Cinquanta sfumature di nero, di James Foley, il secondo capitolo della saga cinematografica porno-soft tratta dai romanzi di E. L. James, che vede il ritorno sullo schermo della coppia di amanti protagonista della apparentemente trasgressiva storia, Dakota Johnson (Anastasia Steele) e Jamie Dornan (Christian Grey).
Girato tra Vancouver e Parigi il film continua a giocare con il tema dell’erotismo spinto e portato sino ai limiti estremi, ma ammorbidito dall’evoluzione (se così si può dire) del rapporto tra il Dominatore, che si rivela per certi versi fragile e tormentato da alcune figure femminili del suo passato, e la Sottomessa, che invece si mascolinizza, combattendo la sua battaglia contro la dittatura erotico-sentimentale di Gray e le continue avances del suo nuovo capo.
C’è poco cinema in questo film, un pallido esercizio narrativo, non supportato, come prevedibile, da una sceneggiatura già debole in partenza, se si pensa alla serie di romanzi, già non eccezionali, da cui è tratto.
La regia, gli attori, si muovono sul filo della spendibilità minima, sia per quanto riguarda la struttura del plot, sia per stile e interpretazioni.
Un film trascurabile, senza mordente né contenuti.

Incarnate – Non potrai nasconderti, di Brad Peyton, è un horror che ha per protagonista il dottor Seth Ember (Aaron Eckhart), in grado di entrare nella mente di persone possedute da entità demoniache. Ember, in particolare, è alla ricerca di Maggie, spirito maligno responsabile della morte di moglie e figlia. Quando dal Vaticano arriva a Seth l’esplicita richiesta di dedicarsi al difficile caso di un bambino, Cameron (David Mazouz), con enormi difficoltà familiari e il sospetto che alberghi in lui la stessa Maggie di cui l’esorcista è alla ricerca, ha inizio una lunga e incerta lotta tra il Bene e le tenebre.
Incarnate non è certo la migliore tra le pellicole emule de L’esorcista, il cult anni Settanta di William Friedkin: la tessitura narrativa è a grana troppo grossa, l’esercizio di stile discreto, l’unica originalità consiste nella figura di Seth, esorcista razionalista, con riferimenti, alla lontana, al personaggio di Patrick Jane nella serie di successo The mentalist. La visione è possibile, ma senza eccessivi brividi e, soprattutto, aspettative.

L’unico film che ci sentiamo davvero consigliare, in questo fine settimana, è in proiezione al Teatro Cinema Macalle’ di Castelceriolo, dove viene recuperato come seconda visione dopo l’uscita sul grande schermo alla fine di gennaio.
In Riparare i viventi la regista francese Katell Quillevere (Suzanne, 2013) traspone con grande coraggio e impegno dal romanzo omonimo di Maylis de Kerangal la sofferta storia di un trapianto d’organo, dagli eventi che conducono alla morte del donatore, il giovane Simon (Gabin Verdet) attraverso la ricerca e il trasporto dell’organo verso la sua destinazione, sino all’intervento, che serve a “riparare” l’esistenza di una ragazza, Claire (Anne Dorval), il cui cuore si sta ingrossando sempre più rapidamente, senza possibilità di appello.
La vicenda di Riparare i viventi è di più che ardua narrazione, data la delicatezza e complessità del tema: il confine tra la vita e morte, il dolore della perdita e, nello stesso tempo, la felicità di una ventilata rinascita. Quilleyere ci riesce, pur tra alti e bassi e qualche stanchezza, con mano ferma ma leggera, appena sussurrata empatia. Tra gli interpreti, Emmanuelle Seigner nel ruolo di Marianne.

Barbara Rossi

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