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Questo fine settimana arriva sugli schermi il film di fantascienza Arrival, del regista Denis Villeneuve, tratto dal racconto Storia della tua vita di Ted Chiang.
Louise Banks (l’ottima ed espressiva Amy Adams), famosa ed esperta linguista di fama mondiale colpita dal grave lutto della morte prematura della figlia, viene incaricata dall’esercito americano insieme al collega fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner) di provare a costruire un linguaggio di “contatto” con la misteriosa specie extraterrestre le cui astronavi, sotto forma di un monumentale monolite, hanno raggiunto la Terra.
Mentre le potenze mondiali decidono di dichiarare guerra ai presunti invasori alieni, Amy si immerge totalmente nella dimensione dell’incontro con l’intelligenza extraterrestre, nell’elaborazione di una forma di comunicazione comune che schiuderà nuovi orizzonti al genere umano.
Villeneuve ricarica di nuova linfa il genere, mettendo in campo non archetipiche e spettacolari battaglie fra terrestri e alieni, ma una storia dal risvolto intimista, costellata di grandi interrogativi filosofici, più vicina alla metafisica.
Tramite apporti, anche visivi, dall’immaginario di film capisaldi in materia (da Incontri ravvicinati del terzo tipo a Contact e Signs), il film costruisce una narrazione non banale, in cui “l’altro” che viene dalle stelle non viene svilito in forme antropomorfe o improbabili, all’interno di una parabola, anche mistica, che si proietta molto al di là di qualsiasi barriera spazio-temporale.

Lasse Hallström, regista svedese già autore di La mia vita a quattro zampe, Chocolat e Amore, cucina e curry, racconta con Qua la zampa! la storia oltre il tempo di Bailey, delizioso cucciolo di golden retriever tratto in salvo (la storia ha inizio nel 1962) dal piccolo Ethan (K.J.Apa) e da sua madre. Il bambino e il cane intrecceranno un rapporto speciale, fatto di tenerezza e complicità, fino alla morte di quest’ultimo. Ma Bailey ritornerà, in cinque reincarnazioni nell’arco di cinquant’anni, interrogando se stesso e gli umani sul senso della vita.
Forte dell’esperienza di Hachiko – Il tuo migliore amico, Hallström ritorna a raccontare l’eterna storia dell’amicizia tra uomo e cane, basandosi sul bestseller di W. Bruce Cameron Dalla parte di Bailey. Il punto di vista adottato è quello dell’animale: c’è un pizzico di sentimentalismo e di zucchero in eccesso, ma ben camuffato nel solido impianto del film. Bravo anche Dennis Quaid nel ruolo di Ethan adulto.
Non si può evitare di riportare, per dovere di cronaca, le polemiche sorte di recente intorno ai presunti maltrattamenti subiti da Hercules, uno dei cani utilizzati per le riprese, nel corso di una scena in acqua, ripresi in un video diffuso da TMZ. La PETA ha chiesto il boicottaggio del film, mentre la casa di produzione Amblin ha dichiarato in un comunicato stampa che “Ci sono stati diversi giorni di prove in acqua per assicurarci che Hercules fosse a proprio agio con le scene d’azione. Nel giorno delle riprese, Hercules non voleva interpretare quella scena mostrata nel video, quindi la produzione della Amblin non ha realizzato quella sequenza. Hercules è felice e in salute”.

Le stagioni di Louise, ultimo film d’animazione di Jean-Francois Laguionie (già conosciuto a fine anni Settanta con il cortometraggio La traversée de l’Atlantique à la rame), è uscito sugli schermi italiani lo scorso Natale, ma continua a essere presente, un piccolo gioiello di narrazione e poesia, in molte sale. L’anziana Louise dovrebbe ripartire alla fine delle vacanze estive da Biligen, con l’ultimo treno per la città, che invece la lascia indietro. Rimasta completamente sola, Louise – alla guisa di un novello Robinson Crusoe – scopre come sopravvivere con ciò che trova sotto mano, in compagnia del cane Pepper, come lei anziano e solo. Nell’alternarsi dei giorni, Louise vedrà affiorare dalla propria memoria i ricordi delle diverse stagioni della vita, riuscendo alla fine a collocarli in una prospettiva nuova.
Laguionie traspone sullo schermo, attraverso la pratica del guazzo e l’influenza visiva dei pittori francesi tardo ottocenteschi, i propri ricordi di ragazzo, le vacanze trascorse in Normandia, in una sintesi di alto livello narrativo ed estetico.
Le musiche, di Pierre Kellner e Pascal Le Pennec, accompagnano con naturalezza e ritmo i diversi momenti del racconto, evocando un’atmosfera rarefatta e, a tratti, sognante.
Il film è una delicata riflessione sull’esistenza, sulle sue diverse fasi, sulle gioie, i dolori, le delusioni e la bellezza di cui quotidianamente si può fare esperienza; e sulla vecchiaia, intesa come irripetibile periodo di consapevolezza di sé, di riflessione sulla memoria, di “sentimento del tempo”.

Barbara Rossi

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