Nel weekend dell’Epifania esce sui nostri schermi l’ultimo, attesissimo film di Ridley Scott, Tutti i soldi del mondo, ispirato al celeberrimo fatto di cronaca di cui fu protagonista, nel luglio del 1973, John Paul Getty III, giovanissimo nipote dell’anziano magnate petrolifero Jean Paul Getty. John Paul (Charlie Plummer) viene brutalmente sequestrato a Roma da un gruppo di esponenti della malavita calabrese, che chiedono per la restituzione del ragazzo un riscatto di 17 milioni di dollari. La pellicola racconta la lunghissima ed estenuante trattativa che vide protagonisti Gail Harris (Michelle Williams), ex nuora di Getty senior (Christopher Plummer) e madre di John, lo stesso Getty e il negoziatore-ex esperto della Cia Fletcher Chase (Mark Wahlberg), tutti in maniere diverse disperatamente alla ricerca di un elemento su cui far leva per ottenere il rilascio dell’ostaggio. Ridley Scott, forte di un solidissimo mestiere, narra con il consueto stile incisivo, secco, ritmato, concreto e immaginifico nello stesso tempo, la terribilità di una vicenda che trasforma in apologo morale sul potere annichilente del denaro, sulla corruzione, sugli interessi economici e politici di una società contrapposti all’umana emozione dei sentimenti, che non hanno prezzo. Un film potente, denso, dalla travagliata lavorazione (vedi la sostituzione in extremis di Kevin Spacey, coinvolto nello scandalo dei ricatti sessuali, nel ruolo del petroliere Getty).
Il ragazzo invisibile – seconda generazione di Gabriele Salvatores rappresenta il ritorno del regista al percorso sperimentale iniziato con il film precedente (Il ragazzo invisibile) nel campo del genere fumettistico dedicato ai supereroi, cui finalmente viene offerto un contributo italiano d’autore. Michele (Ludovico Girardello), il ragazzino protagonista del primo episodio, è ormai diventato il classico adolescente scontroso e chiuso in se stesso, anche perché ha parecchi grattacapi famigliari da affrontare e risolvere oltre a un passato sconosciuto con cui fare i conti. Maturerà facendo i conti con se stesso e con i propri “superpoteri”. Salvatores costruisce un’ottima sceneggiatura (grazie al suo team composto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo) e gira con la sicurezza fornita da una buona struttura narrativa, da ottime soluzioni visive e di montaggio, da effetti speciali che non sfigurano di fronte alle ipertecnologiche soluzioni delle produzioni americane (la Marvel in primis). Qui, per fortuna, si può contare anche su di un maggiore approfondimento psicologico dei caratteri, a cominciare dalla figura della madre naturale di Michele, Yelena, interpretata da Xsenia Rappoport, e della sorella Natasha (Galatea Bellugi). Ottimi inserti musicali.
Il tris delle proposte cinematografiche dell’Epifania si chiude con Loveless del regista russo Andrey Zvyagintsev, in seconda visione al cinema Macalle’ di Castelceriolo (Alessandria). Zvyagintsev, già Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 2003, ha vinto per quest’ultima opera il Premio della giuria allo scorso Festival di Cannes ed è candidato agli Oscar 2018 nella categoria ‘Miglior film straniero’. La storia, liberamente ispirata per ammissione dello stesso regista al colossale Scene da un matrimonio di Ingrid Bergman, è quella dei due ex coniugi Zhenya (Mar’jana Spivak) e Boris (Aleksey Rozin), divorziati nella Russia dei giorni nostri: entrambi si sono rifatti una vita sentimentale, hanno nuovi compagni e famiglie. La loro separazione, tra l’altro e come spesso accade, non è stata indolore, ma invece densa di liti, conflitti, sensi di colpa. Tutto come da copione, se non fosse che Zhenya e Boris hanno un figlio dodicenne, Alyosha (Matvey Novikov), mai – per motivazioni differenti di ciascuno – troppo amato. Il ragazzino, un giorno, scompare nel nulla: il senso di perdita, allora, inizia a fare da cassa di risonanza a un passato rimosso, alle recriminazioni, alle nostalgie per ciò che non ha potuto essere, a ciò che si sarebbe potuto fare e non si è, distrattamente fatto. La pellicola, grazie anche alle ottime interpretazioni dei due interpreti principali, mette a nudo non solo le psicologie individuali, ma anche la disumanità, la freddezza, l’egoismo e l’immaturità di una società, quella russa, non ancora in grado di gestire, al di là del controllo strettamente burocratico, le necessità e i bisogni emotivi delle persone.
Barbara Rossi