Tempo fa avevamo visto le varie tipologie di mamme, (http://www.dialessandria.it/cultura-eventi/mamma-da-legare/73242.html ) un universo molteplice e variegato con un unico immenso denominatore comune: la stanchezza.
Le mamme si individuano immediatamente, sono quelle con le occhiaie che sembrano un autodromo, sono quelle che al supermercato prendono il carrello anche per prendere solo due cose per potersi accasciare sopra un pochino, sono quelle che in ufficio si fanno flebo di caffè per rimanere vigili e che a casa evitano il divano come la peste temendo la perdizione, il riposo per qualche ora, o anche solo pochi minuti, che non hanno.
Hai voglia a parlare di parità dei sessi, il peso delle famiglie grava tanto, troppo, tutto sulle spalle delle donne. E’ vero che tanti mariti fanno la spesa, preparano il pranzo, vestono i figli, li portano a scuola, li accompagnano a fare sport e i più arditi si arrischiano persino a portarli alle feste di compleanno, ma se analizziamo sotto la lente le gesta dei compagni/mariti/papà scopriamo aneddoti che hanno dell’assurdo e ogni famiglia ne vanta un’ampia gamma.
Si narrano storie di spese dimenticate in cassa, di pranzi pronti e cucine che sembrano una cartolina da Aleppo, di figli piccoli vestiti con gli abiti dei figli grandi e di figli grandi strizzati in body sporchi, di bambini portati in scuole sbagliate e ragazzi che rientrano a casa senza scarpe, di giornate in cui passare da un party al pronto soccorso è un attimo, il tutto sotto l’attenta supervisione paterna. Ma noi li giustifichiamo e, sorridendo della loro totale mancanza di senso pratico, ci diciamo che fanno del loro meglio.
Questa benevolenza non è concessa alle donne, non esiste approssimazione, non è consentito agire un tot al kg e quasi sempre sono loro, le mamme, le aguzzine di loro stesse, coloro che non tollerano sbavature e non ammettono imprecisioni.
Ed ecco allora che senti il peso della famiglia come un macigno sulle tue spalle e ti fai prendere dallo sconforto e pensi che non ce la farai mai e ti senti stanca, tanto stanca.
Fino a che arrivano degli occhietti guizzanti che ti sondano come solo loro sanno fare e ti attribuiscono una serie di capacità paranormali con tanta convinzione e fiducia che alla fine ci credi pure tu che sia vero.
Così diventi colei che tutto cura, dalla più banale delle bue al peggiore dei mali, sei la miglior cuoca del mondo anche quando servi per cena latte freddo di frigo e cereali, sei un pilota fenomenale quando sorpassi su un rettilineo di 3 km senza nessuno all’orizzonte un trattore che sta nel fosso, sei la persona più colta del mondo perché conosci i pronomi personali (questo veramente me lo fanno credere molto di più le frequentazioni a vari gruppi Facebook piuttosto che i miei figli), sei meglio di un giullare certificato alla corte del Re Sole quando racconti una storia e ti inventi episodi assurdi o nomi strambi per farli ridere, sei la regina del tempo perché li porti a scuola puntuali ogni giorno, sia che si siano svegliati presto sia che li butti in classe con ancora la colazione in mano, sei una rabdomante perché ritrovi tesori perduti, sei una stilista di fama internazionale perché abbini due colori, sei un ingegnere informatico perché sei capace di cambiare omino nel videogame, sei San Francesco quando sparisci dietro una siepe e riemergi con un cucciolo di gatto in braccio, sei poliglotta perché, memore delle dediche sulla Smemoranda, sai dire “ti amo” in 5 lingue, sei una veggente perché, notando il grembiule sporco di pittura, immagini che a scuola abbiano colorato, semplicemente sei quella che tutto sa.
Un giorno mio figlio mi ha detto: “Da grande voglio diventare forte come te”. Come me, che per mettere un sacco di pellet nella stufa rischio che mi cada l’ernia ogni volta, come me che al supermercato devo fermare la gente a farmi prendere la roba dal terzo scaffale in su, come me che per girare a Tortona (dove ormai vivo da anni) ho bisogno del navigatore, come me che se devo prendere l’autostrada mi guardo il percorso mille volte e non dormo la notte prima, come me che a volte mi sento schiacciare dalle responsabilità, ma poi mi tuffo in quegli occhi, che sono come la cabina del telefono per Superman, indosso il mio costume da cavaliere del quotidiano e mi ripeto fino a convincermi .”Io sono un super eroe!”.
E tutto diventa possibile.
Paola Vitale Cesa