Rosa che rosa non sei/rosa che spine non hai/rosa che spine non temi/che piangi, che tremi/che vivi e che sai/rosa che non mi appartieni/che sfiori, che vieni/che vieni e che vai.
Le rose sono proprio così, come nella canzone (“Rosa, rosae”) di De Gregori: contraddittorie, forti e tenere, generose e schive. Del resto, accompagnano il cammino del genere umano da moltissimo tempo: ritrovamenti fossili testimoniano la loro presenza sulla Terra già quattro milioni di anni fa, prima ancora che sorgesse l’alba per la nostra specie. Ai primi del 900’ gli scavi effettuati dove sorgeva l’antico palazzo reale di Cnosso hanno portato alla luce affreschi e stoviglie che rivelano come la civiltà micenea intorno al 1800 a.C. coltivasse la rosa (pare la Damascena), che venne introdotta in Europa dai reduci dalle Crociate.
Anche la civiltà persiana e quella cinese conoscevano e coltivavano le rose (citate dallo stesso Confucio nei suoi scritti), mentre in Grecia e a Roma si rendeva loro omaggio attraverso la progettazione di giardini dedicati alla loro profumata bellezza. Saffo, la grande poetessa di Lesbo vissuta intorno al 600 a.C., regalò alla rosa l’appellativo di “regina dei fiori”.
Per crescere e fiorire le rose hanno bisogno di almeno sei ore di esposizione ai raggi del sole, ma alcune qualità, come le Alba, le Gallica, le Damascena e le Ibridi di Moschata tollerano anche la mezz’ombra. Durante la stagione calda ricordiamoci di bagnarle con frequenza e di potare leggermente quelle rifiorenti, per stimolare la ripresa vegetativa alle prime piogge estive.
Barbara Rossi