Fenomeno “Mare Fuori”: perché piace così tanto?
“Non ti preoccupare ragazzo, fuori c’è il mare; dietro le sbarre, sotto il cielo…fuori c’è il mare” è la frase emblema e colma di significato e speranza della sigla della serie tv Mare Fuori, da inizio luglio sbarcata anche su Netflix. In attesa dell’uscita della terza stagione, infatti, le 24 puntate della prima e della seconda serie non saranno più disponibili su RaiPlay, dove erano visibili gratuitamente in quanto produzione Rai, ma sono state acquistate dalla azienda di streaming più influente del pianeta.
Perché questa scelta? Per il successo riscosso. Infatti non solo la serie ambientata nell’Istituto di Pena Minorile (IPM) di Napoli è il contenuto più visto di sempre sulla piattaforma streaming della Rai con circa 30 milioni di visualizzazioni ma si è anche guadagnata (stabilmente) una tra le prime posizioni nella classifica dei contenuti più graditi e visualizzati di Netflix non appena resa disponibile sulla piattaforma. Sembrerebbero dunque esserci tutti i presupposti affinchè la serie possa avere grande successo anche fuori dal nostro paese e questo sarebbe, indubbiamente, un motivo di grande orgoglio per le tematiche trattate, per il modo in cui vengono affrontate e per il messaggio che viene trasmesso.
L’esperimento attuato dalla Rai è dunque riuscito pienamente. Combinare volti di giovani nuovi e alle prime armi (ma di una bravura spesso disarmante) insieme ad attori più conosciuti, unitamente ad una storia profondamente complessa e drammatica, non dava alcuna certezza ed invece ciò che ne è risultato è stato un vero e proprio capolavoro accompagnato dalla colonna sonora di Stefano Lentini (lo stesso che ha firmato la colonna sonora anche di altre serie – fenomeno Rai come Braccialetti Rossi) che ha saputo dare voce con la sua musica a sensazioni ed emozioni che non sempre possono essere tradotte in parole. Inoltre Mare Fuori ha colpito molto anche i media esteri tanto che si sta avendo una serie di vendite a tv internazionali (come la WarnerMedia Latin America per HBO Max o il canale svedese in chiaro TV4).
Per chi non avesse avuto la possibilità di vedere la serie (in ogni caso sottolineo che sarebbe necessario rimediare!), la storia è quella di un gruppo di ragazzi rinchiusi nell’Istituto di Pena Minorile (IPM) di Napoli, liberamente ispirato al carcere minorile di Nisida. Le storie dei giovani sono tante e diverse ma allo stesso tempo intricate: c’è chi è nato in un sistema che non ha scelto e che avverte lontano dal proprio modo di essere e da ciò che vorrebbe invece essere e diventare e, per questo motivo, sconta la “colpa” di voler essere semplicemente se stesso. C’è poi chi invece da un certo contesto non vuole allontanarsi, perché non ne contempla e conosce altri, dunque continua a perseverare nell’errore fedele ad un “codice d’onore” che gli educatori cercano di “distruggere” con l’educazione nella speranza di regalare a questi ragazzi una seconda possibilità. Ancora c’è chi ha sbagliato spinto da necessità, chi è stato vittima di un errore fatale e chi paga per un reato non realmente commesso. Il risultato è lo spaccato di una realtà più vicina di quanto si pensa e raccontata, però, con una cruda delicatezza (che potrebbe sembrare un ossimoro) che sa toccare le corde più profonde della nostra anima smontando qualunque stereotipo e clichè. Sono storie di chi sbaglia spesso senza neanche sapere cosa è effettivamente giusto e cosa sbagliato, perché non tutti hanno avuto la fortuna di avere qualcuno che fosse lì a spiegarlo. Una serie, dunque, sincera. Che racconta i giovani, i loro errori, il loro disagio e il grande cuore, spesso enormemente fragile, che si nasconde dietro grandi scelte sbagliate. Sono giovani che hanno sbagliato ma che, in fondo, lo sanno e lo riconoscono. Giovani convinti di essere senza speranza e che invece, spesso, alla fine dimostrano a loro stessi proprio il contrario.
Ludovica Italiano