Il teatro, luogo speciale in cui tutto sembra sul punto di accadere, accoglie da sempre le passioni, i dubbi e i sogni dell’uomo, andando oltre i limiti dello spazio, del tempo e della razionalità.
Il teatro, quello scevro da manierismi (ma non esente da spettacolarità) riesce a istigare nello spettatore nuove passioni, dubbi e sogni che difficilmente lo abbandoneranno una volta uscito dalla sala. Ed é proprio questo che ci cattura nella nuova regia di Gabriele Lavia, uno spettacolo monumentale nel cast e nella scenografia, che dà nuovo respiro e fiducia ad un modo coraggioso (e purtroppo demodé) di fare teatro.
L’impegnativo e dibattuto “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht, la cui stesura ha accompagnato l’autore per quasi tutta la vita, ha permesso all’attore milanese di proporre al pubblico interrogativi sempre attuali, mettendo in discussione la moralità dei potenti e l’integrità degli intellettuali, prestando corpo e voce ad uno degli scienziati più geniali della storia, così lontano da noi ma mai così vicino alla nostra sensibilità.
Sul palco ventotto anni di storia, durante i quali osserviamo un Galileo quarantenne alle prese con i conti da pagare, messi in secondo piano per favorire lo studio e la ricerca, con le lezioni private offerte ai nobili per guadagno e con lo spasmodico desiderio di conoscenza, che caratterizza lunghe chiacchierate insieme al figlio della sua domestica, durante le quali i due si divertono a smontare certezze e ricrearne di nuove, vibranti di entusiasmo e curiosità.
Sfruttando i racconti del promesso sposo della figlia, venuto dall’Olanda, Galileo inventa il telescopio; cambiando prospettiva e puntando lo strumento al cielo, lo scienziato cambia la storia. La teoria copernicana, sbugiardata solo dieci anni prima da Giordano Bruno causandone la morte per mano della Santa Inquisizione, é così definitivamente ribaltata. La terra non é più al centro del mondo, e così nemmeno l’uomo: “I vescovi e le pescivendole” sono sullo stesso piano, slegati per sempre da gerarchie inutili e prettamente utilitaristiche. I giochi di potere sono al capolinea, non esistono più né servi né padroni. Galileo é ben deciso a dire la verità anche di fronte alla Chiesa, sprezzante del pericolo e del giudizio dei potenti, ma verrà fermato e costretto al silenzio dal Vaticano, presenza massiccia e opprimente nell’Italia del ‘600. Lo scienziato sembra rassegnarsi, dedicandosi a studi “poco pericolosi”, ma quando le ricerche sulle macchie solari prendono piede in tutto il mondo, la vecchia fiamma della verità accende la sua sete di rivincita, decidendo così di affermare senza possibilità di ripensamento che la terra gira intorno al sole, e non viceversa.
La mano ferma e implacabile della Santa Inquisizione non tarderà ad arrivare; Galileo abiura giurando sui testi sacri, condannandosi ad una vita colpevole e ingiusta, lasciando al mondo un’eredità che sarà destinata a riemergere, ma convivendo con il dolore e l’inadeguatezza di non aver saputo sostenere l’unica verità possibile, ovvero la libertà.
Lavia dirige e interpreta un’epopea storica maestosa, complessa ed emozionante orchestrando un cast numerosissimo, che si amalgama perfettamente con la storia, trasformando lo spettacolo in un lunghissimo e affascinante tableaux vivant che trascina lo spettatore in un ‘600 iconografico, popolare e aristocratico allo stesso tempo. Chi guarda si ritrova catapultato in uno studio antico e polveroso, dedicato agli esperimenti e alle supposizioni, per poi perdersi nella scena successiva in un carnevale popolaresco e coloratissimo, e dopo ancora nell’austera sala da bagno del Papa. Tutte le vicende narrate sono permeate da una luce rarefatta, quasi sospesa nel tempo, che regalano allo spettatore una sensazione di “non luogo” perfetta per ricreare la magia e la potenza espressiva della storia.
Le interpretazioni regalano una forte tridimensionalità ai personaggi, delineando ogni carattere con squisita personalità; dall’impositività materna un po’ brusca della signora Sarti, alla dolcezza ingenua e delicata di Virginia e l’impetuosa e palpitante intelligenza di Andrea, gli attori donano allo spettacolo spessore e profondità emotiva. Gabriele Lavia é ovviamente il mattatore incontrastato, interpretando un Galileo ironico, divertente, dal genio infantile ed ingestibile, capace di grande coraggio e determinazione ma che crolla sotto il peso della paura e del dolore, rivelando al mondo la sua disarmante umanità.
Lo spettacolo sarà in scena fino al 26 ottobre al teatro Stabile di Torino
Giulia Maino