Vince chi spera…o chi fugge?
C’è una frase di una vecchia canzone degli Articolo 31 che dice “Noi: gente che spera cercando qualcosa di più in fondo alla sera; noi, gente che passa e che va, cercando la felicità sopra sta terra”.
Mi è capitato di ascoltare spesso questa canzone in compagnia dei miei amici e altrettanto spesso mi ha toccato in modo molto profondo perché rappresenta perfettamente lo stato di incertezza e timore per il futuro che, giorno dopo giorno, noi giovani ci troviamo ad affrontare…specialmente di questi tempi!
Cosa faremo “da grandi?” Continueremo gli studi? È questa la strada giusta? Ma soprattutto: esiste una strada giusta? Troveremo lavoro? Tante, tantissime domande…ma non altrettante risposte.
Secondo un sondaggio del Financial Times, la sensazione più diffusa nelle nuove generazioni è la sfiducia. La sensazione di non avere niente di solido sotto i piedi, di affondare nella mancanza di sicurezza. E non si tratta di una sensazione legata soltanto alla propria realtà individuale ma di qualcosa che coinvolge anche l’ambiente e la politica stessa. E la pandemia è riuscita solo a peggiorare un quadro già complicato espressione di un disagio profondo ed esistenziale.
Eppure “noi” facciamo quello che possiamo, quello che ci è concesso fare: studiamo, lavoriamo, andiamo all’università, cerchiamo lavoro. È una condizione amara ma reale. In questo Paese c’è gente che nel corso degli anni ha investito tanto costruendosi un bagaglio di conoscenze e di competenze ragguardevoli ma nonostante ciò il resto del mondo sembra non “onorare” questo impegno e questi sforzi. Trovare lavoro è difficile, le carriere sono bloccate, la stabilità è impedita: sostanzialmente si vive una continua situazione di incertezza e mancanza di prospettive. Negli altri Paesi dell’Europa non è così perché si premia il merito, l’efficacia, la competenza dimostrata con gli studi fatti e sul campo. Proprio per questo non dovrebbe destare stupore la crescita della “fuga di cervelli”: sempre più giovani, infatti, vanno a studiare e a cercare lavoro all’estero e, molte volte, si allontanano dall’Italia per non farvi più ritorno.
Per “custodire” i talenti all’interno del nostro paese ci sarebbe bisogno di un grande ed intenso lavoro congiunto dove misure politiche, di incentivazione fiscale, e di coinvolgimento partecipato dei soggetti coinvolti nell’educazione dalla fase scolastica a quella universitaria, si intreccino, così da consentire che il trasferimento all’estero diventi una vera scelta, un’opzione alla cui base ci siano motivazioni diverse dall’assenza di alternative in Italia.
Il risultato, in sostanza è che i giovani di questo paese conoscono timori che i meno giovani non hanno mai avuto. E sono spaventati da un futuro che sentono di non poter controllare. Tempo fa ho letto le parole di un giovane lavoratore che mi hanno colpito e che cito perché, a mio avviso, emblematiche: «Stiamo sicuramente meglio di altri in passato, certo. Ma non abbiamo quella soddisfazione di sapere che i nostri figli staranno meglio di noi».
Ludovica Italiano