Per Roberto Vecchioni, “La vita che si ama” rappresenta il libro più intimo e personale che abbia mai scritto. Lo si può intuire sin dal titolo, ispirato da una frase tipica di sua nonna, lo si può capire dalla dedica del volume ai figli Francesca, Carolina, Arrigo e Edoardo. La famiglia è la destinataria e, in un certo senso, la mittente della missiva che Vecchioni vuole lasciare ai propri cari, contenente tanti ricordi della vita passata insieme e di quella precedente, alle prese con una madre affettuosa e un padre “pazzo”, per ammissione dello stesso autore.
Alternati al racconto di tanti episodi di vita, si possono trovare i testi di molte canzoni del Vecchioni cantautore, mai messe a caso, bensì a giusto corredo di ogni capitolo. Non mancano, poi, precisi riferimenti letterari che variano da “Mille e una notte” al mito di Orfeo ed Euridice. Le bussole per orientarsi tra i frammenti di memoria messi su carta dall’autore sono due. Innanzitutto, la felicità, intesa non come temporanea sensazione di contentezza, ma come metafora della vita, con i suoi momenti più belli e quelli più complessi. Poi, il “tempo verticale”, quello stato della cronologia dove passato, presente e futuro si fondono in un unico spazio, da dove emergono vividi i momenti più significativi dell’esistenza di tutti.
Roberto Vecchioni, cosa l’ha portata a scrivere questo libro?
La voglia di spiegare ai miei figli tante cose, che nella vita di tutti giorni non ho mai avuto il tempo di dire. L’ispirazione è venuta da un’espressione che mia nonna usava spesso, “la vita che si ama”, un richiamo a vivere l’unica vita che abbiamo.
Si può dire che, oltre a essere biografico, è un libro filosofico?
A suo modo lo è: un invito a concepire la felicità come sinonimo della vita, da accettare con tutte le sue imprevedibilità.
E’ anche un romanzo di formazione…
Sì, come nell’episodio di Andrea Jori, la vicenda del professore Rattazzi, l’esperienza con Grazia e Tatiana… Ciò che forma le persone è la vicinanza con le persone care, affrontare le relazioni nel bene e nel male.
Che ruolo gioca la cultura nella felicità?
La cultura può essere una gabbia se la si usa in modo malevolo. Bisogna avere la capacità di trovarla dappertutto, adottare una struttura mentale adeguata per farlo. Il che non significa per forza essere colti.
La paura dell’altro può essere un ostacolo nella ricerca di felicità?
Per me non lo è: conosco l’altro e so evitare chi o cosa mi può essere sgradito. E’ vero che c’è la diffusa sensazione che sia in corso una deflagrazione del mondo: ma è sempre stato così, occorre sempre restare vigili e concentrarsi su quanto c’è di bello.
Stefano Summa
@Stefano_Summa