Terza, quarta, quinta ondata pandemica (chi ormai le conta più?) si appresta a colpire di nuovo il nostro Paese. Aumentano i casi di positivi, superiori alle 5000 unità giornalieri e si impenna il tasso di positività, intorno al 2,5%, mentre restano quasi invariate le terapie intensive con un lieve aumento dei ricoveri. Un’escalation esponenziale rispetto a due settimane fa, quando il numero di contagiati si aggirava sotto alle mille unità, con un tasso di positività intorno allo 0,4%. La spiegazione è evidente, in mezzo c’è stata l’avventura calcistica della Nazionale italiana, la vittoria della quale ha provocato una gioia, di certo superiore alla prudenza, manifestata in assembramenti, feste di piazza, canti e balli tutti rigorosamente senza mascherina. «Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo» diceva Primo Levi, e così, condannando anche coloro la cui memoria funziona bene, ci ritroviamo nuovamente in una situazione difficile, con il rischio di nuove misure restrittive e di chiusure. La variante delta, insomma, ribattezzata da alcuni come “EURO2020”, ha moltiplicato i focolai nel paese e si resta in attesa per capire le future misure di contenimento e monitoraggio della diffusione del virus.
L’arma dei vaccini e la «fabbrica delle varianti»
La migliore arma a nostra disposizione contro il virus e la sua diffusione resta il vaccino. Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute, infettivologo ed esperto di Igiene e Medicina Preventiva, ci spiega che la percentuale di efficacia dei vaccini, su basi probabilistiche, intorno all’88% secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sta ad indicare l’efficacia protettiva nei confronti della infezione sintomatica, indipendentemente dalla sua gravità. «Tanto è vero che – conclude il direttore – dopo un ciclo vaccinale completo, l’efficacia protettiva dei vaccini contro il Covid-19 nei confronti della ospedalizzazione o del decesso è molto più elevata e approssima il 100%».
Con oltre 64 milioni di dosi somministrate, circa 28 milioni di persone in Italia hanno completato la vaccinazione, con un ritmo sostenuto di circa 550.000 vaccinazioni quotidiane. Un numero molto positivo anche rispetto ai programmi previsti dal piano vaccinale nazionale, per quanto tuttavia una fascia, più o meno consistente, della popolazione si ostina a rimandare o ad evitare la vaccinazione. Tutti i vaccini attualmente approvati risultano efficaci contro le quattro varianti riscontrate (Alfa, Beta, Gamma e Delta). Tuttavia, sono i soggetti non vaccinati a consentire una maggiore circolazione del virus, il quale nel suo naturale tentativo di sopravvivenza, potrebbe mutare casualmente in forme sempre più pericolose. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) considera con preoccupazione la possibilità di nuove varianti del virus in grado, in seguito a mutazioni casuali naturalmente selezionate, di eludere le eventuali difese immunitarie, persino quelle ottenute tramite i vaccini. Per questo motivo i medici raccomandano una campagna vaccinale rapida e diffusa, promuovendo iniziative di cooperazione internazionale per la distribuzione dei vaccini presso i paesi più poveri, come il programma COVAX.
Il professor William Schaffner, docente presso la Divisione di Malattie Infettive del Centro Medico dell’Università Vanderbilt, ha definito alla CNN chi non è ancora vaccinato «una vera e propria fabbrica di varianti» poiché l’organismo umano fornisce al virus l’opportunità di replicarsi, e quindi, la possibilità di mutare, cosa impedita invece dall’assunzione dei vaccini. Emerge, quindi, quanto la decisione di non vaccinarsi non sia una semplice scelta individuale, difesa del proprio diritto all’autodeterminazione, ma una posizione carica di responsabilità, che porta con sé il peso delle ripercussioni sulla salvaguardia della salute pubblica e del benessere dell’intera comunità. Tuttavia, non tutti coloro che si oppongono all’obbligatorietà del vaccino sono antivaccinisti, né tutti coloro che sono contrari all’inoculazione del vaccino per il coronavirus, sono no- vax o contrari ai vaccini in generale. La situazione è sicuramente assai più articolata.
Secondo il professore Andrea Grignolio, docente di Storia della medicina e Bioetica, presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Cid-ethics al Cnr, i riottosi al vaccino si dividono in due gruppi che il professore definisce gli esitanti «che in periodo non pandemico sono il 10-15% della popolazione e oggi il 20-30%, i quali non si immunizzano ma sono aperti al dialogo» e i cosiddetti no – vax «che in periodo non pandemico si stimano nel 3-5% e oggi sono tra il 7 e il 10%, sono inconvincibili, facendo dell’antivaccinismo una marca identitaria». La portata comunicativa della campagna anti-vaccinale, dal delirante sospetto di un complotto internazionale per un genocidio di massa, ad un più cauto scetticismo nei confronti di un farmaco nuovo e sconosciuto, rivelano gli effetti collaterali della capacità massmediale della nostra società. La scarsa sperimentazione è in realtà una critica sempre sollevata per qualsiasi tipo di vaccino e si rivela essere, a conti fatti, un maldestro travisamento. Vi era in corso in realtà, ben prima dell’avvento del covid, un lungo lavoro sperimentale sfruttato per l’elaborazione dei vaccini attuali, per lo sviluppo dei vaccini sulla Sars, parente prossima del nostro Covid-19. Il professor Grignolio, inoltre, fa notare che: «in questo caso, invece degli abituali 3-5.000 di volontari ne sono stati utilizzati almeno tre volte di più, e che ormai siamo a milioni di dosi somministrate e i riscontri sono positivi». Altro meccanismo psicologico standard nella critica alla vaccinazione è la possibilità di insorgenza di futuri problemi di salute ad oggi ancora non osservabili. «Non potendo dimostrare effetti avversi nel presente rimandano al futuro, cioè ad un tempo indimostrabile – spiega il professore, aggiungendo – Il nostro cervello ha grande difficoltà a pesare i rischi con i benefici, è disadatto. Per questo tanti genitori, messi di fronte alla scelta di vaccinare o meno i figli, decidono di non decidere, cioè non scelgono». Infine, viene posta dal professore l’attenzione sulla fantomatica capacità dei vaccini, millantata a più riprese per screditare i vaccini cosiddetti a mRna, di interagire con il nostro codice genetico: «Nessuno dei vaccini in circolazione interagisce con il nucleo della cellula dove risiede il Dna, di conseguenza non c’è possibilità di modificazione del codice genetico. È un’altra bufala. Tuttavia, quando abbiamo letto che i vaccini, sia quelli a vettore virale, sia quelli a mRna, erano stati definiti “genetici”, siamo tutti saltati sulla sedia. Quando si usa la parola “genetica” si va incontro ad un’ondata di rifiuto, come nel caso, anche questo errato, degli Ogm. Perché l’idea che il nostro organismo possa essere modificato è la paura di Frankenstein, è la paura della scoperta che sfugge di mano, altera il destino umano e finisce o per sottometterlo, o deviarlo. È una paura ritornante che toglie lucidità rispetto alla falsità di cui si parla».
Il valore della libertà: una riflessione necessaria
Importante è anche la posizione di coloro che pur vaccinandosi ritengo invece profondamente scorretto e antidemocratico imporre l’obbligatorietà vaccinale, sia direttamente che indirettamente, attraverso l’introduzione del famigerato green pass, obbligatorio dal 6 agosto, interpretato come un giro di vite a discapito della propria libertà. Tuonano alla dittatura le voci di coloro che reclamano come diritto inalienabile la possibilità di scegliere autonomamente se sottoporsi o meno alla vaccinazione, appellandosi ad una evocativa quanto millantata libertà. «Chi, per la sicurezza, è disposto a rinunciare alla libertà, merita di perdere sia la sicurezza, sia la libertà» afferma Diego Fusaro. Egli, come un moderno Demostene, richiama l’Atene dei nostri giorni a difendersi contro il barbarico dispotismo dei Macedoni, rappresentato dall’ordine «tecnosanitario», colpevole di trascinarci in un «infinita sospensione della normalità costituzionale, con le sue libertà e i suoi diritti». La difesa della libertà è un valore imprescindibile all’interno della società democratica, nonché uno dei suoi più alti successi. Tuttavia, per poterla difendere ed usarla correttamente è necessario chiedersi, prima di tutto, cosa essa sia effettivamente. Una considerazione sembra obbligatoria: ritrovandosi nella proverbiale stessa barca, se durante una tempesta gli ufficiali al comando vietassero a tutti le persone a bordo di recarsi lungo il ponte della nave, sarebbe questa da considerare una forma di negoziazione limitante la libertà di movimento delle persone? O forse non è, come direbbe Baruch Spinoza, uno dei più illustri padri del pensiero libero, proprio il riconoscimento della necessità a determinare il valore della propria libertà? A noi spetta tale giudizio, ma resta valido che la nostra libertà finisce dove inizia a ledere quella altrui.
Daniele De Camillis