Il 26 maggio si sono aperte in Siria 12 mila seggi elettorali, chiamati a riconfermare il mandato presidenziale di Bashar al-Assad. Il sistema elettorale è strutturato in modo tale che al partito Ba’th, quello di al-Assad, sia sempre garantita la maggioranza, dunque la vittoria del leader uscente è data per scontata. «Tutto è costruito in modo tale che nulla cambi» ha affermato Marco Lombardi, direttore del dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica, esperto dell’area mediorientale, in un’intervista concessa a Vatican news.
La dinastia degli Assad
Dalle ceneri dell’Impero Ottomano, dopo la Prima guerra mondiale, nascono gli attuali stati del panorama nazionale mediorientale. Questi nuovi stati, fra cui la Siria, creati a tavolino dalle potenze occidentali, malamente rispettano le reali rivendicazioni nazionali delle realtà locali. Da subito, quindi, nasce un sentimento di rivendicazione panaraba, del quale il partito Ba’th, siriano e iracheno, ne è l’originaria espressione. È in questo contesto che nasce, nel 1946, la Repubblica parlamentare democratica siriana. Le alterne vicende del Novecento vedono la repubblica in balia di innumerevoli colpi di stato che si susseguono fino all’ascesa di Hafiz al Assad. Con l’ascesa degli al-Assad il paese riesce finalmente a trovare una relativa tranquillità, pur pagandola al caro prezzo delle proprie libertà democratiche. La famiglia Assad, appartenente alla minoranza religiosa sciita alawita, sale al potere negli anni 70, anche essa grazie ad un putsch, ottenuto con il sostegno dei militari. Il capostipite, Hafiz al Assad, allora ministro della Difesa e capo dell’aviazione della repubblica, conquista il potere nel 1970. Nel 1971 riesce a legittimare il proprio ruolo stravincendo le elezioni presidenziali, ottenendo un consenso elettorale che supera il 99% dei voti.
Alla morte di Hafiz, nel 2000, di padre in figlio, il potere passa all’attuale leader Bashar al-Assad. Fin da subito il nuovo regime ha dovuto affrontare rivolte e ribellioni, a partire da quella del 2004, causata dal movimento indipendentista curdo. È nel 2011 però, che sulla scia delle primavere arabe, la guerra entra all’interno dei confini siriani. Una guerra lunga, sanguinosa e terribile, combattuta su più fronti e da più fazioni. Alle forze di opposizione al regime, nel 2012 si uniscono gruppi armati jihadisti appartenenti al Fronte di al-Nusra, affiliata ad al-Qaida. Da questi e da altri gruppi militari preesistenti nasce l’Isis, impegnato a combattere tanto le forze di Assad, quanto quelle dei curdi, anche queste nuovamente in conflitto con Damasco. La sconfitta del sedicente califfato islamico e l’appoggio russo- iraniano, permettono a Bashar non solo di mantenere il potere ma anche di avviare un’offensiva contro i territori precedentemente perduti.
Elezioni, ma la guerra è in corso
Lo stato di parziale stallo nel conflitto in corso, causa pandemia, nonché l’intervento turco, a sostegno dei ribelli, e quello russo, in aiuto al regime, ha portato ad un assestamento della linea del fronte. Se è pur vero che Damasco controlla ad oggi i due terzi del territorio nazionale, essendo riuscita grazie al sostegno delle forze terrestri iraniane e soprattutto dell’aviazione russa a riconquistare terreno, la situazione di Assad è ancora in parte compromessa. La situazione economica è tutt’altro che rosea. Le casse dello stato, vessate da un decennio di guerra civile, sono state duramente colpite anche dalle sanzioni internazionali, fra cui il Caesar Act dell’amministrazione Trumpiana. L’esercito siriano, drasticamente ridotto, è del tutto dipendente dalle forze iraniane e dall’aviazione russa, vero motore della geopolitica siriana. Inoltre, i nuovi attacchi terroristici in varie parti del Paese ricordano a Damasco che la militanza dello stato islamico non è ancora stata sopita del tutto. La conferma elettorale è quindi per Assad il sostegno politico necessario per riabilitare la propria figura, anche e soprattutto nel panorama della comunità internazionale, volendo a tutti i costi scongiurare la possibilità, richiesta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di elezioni imposte sotto la guida dell’Onu. Tuttavia, molte sono le voci di protesta sollevate contro il processo elettorale in corso. In un comunicato stampa congiunto, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, tramite i propri ministeri degli esteri, hanno dichiarato di sostenere: «le voci di tutti i siriani, comprese le organizzazioni della società civile e l’opposizione siriana, che hanno condannato il processo elettorale come illegale». Alcune zone del paese, come il discusso territorio del Rojava e le turbolenti aree settentrionali, non saranno interessate dalla tornata elettorale. Solo le zone controllate da Damasco e solo coloro in possesso di un passaporto siriano valido, con timbro di uscita da un valico di frontiera ufficiale, potranno essere ammesse al seggio elettorale. Questo ovviamente impedisce ad un gran numero di siriani di poter partecipare al voto, compresi i rifugiati politici che, dal 2011 ad oggi, sono fuggiti dalle violenze della guerra civile.
Daniele De Camillis