Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa dell’associazione Cambalache con la quale ci onoriamo di lavorare e i cui ragazzi, oggetto del comunicato, conosciamo personalmente.
Era giugno quando, insieme con altre associazioni e migranti, iniziavamo a chiederci dove portasse questa gestione dell’emergenza. Alla luce degli accadimenti degli ultimi mesi, che hanno visto il diniego di numerose richieste di asilo, la domanda rimbomba più forte nelle nostre menti e nelle nostre coscienze. Accogliamo persone con un trascorso che li ha portati a lasciare il loro Paese e a rischiare la vita durante il viaggio. Mossi dalla sola speranza di un futuro migliore, una vita nuova, in un posto più “democratico”. Abbiamo coltivato in loro e in noi la speranza che questo sistema “giusto” potesse riconoscerne il vissuto rilasciando loro un titolo di protezione, un riconoscimento ufficiale che gli permettesse di lasciarsi alle spalle il passato e di guardare fiduciosi all’avvenire. Il profondo senso di ingiustizia che ora ci pervade e schiaccia ci ricorda una frase di Erri De Luca: «Ragazzo la tua storia è vagabonda come il mondo. Tu sei l’Africa da dove siamo partiti tutti e continuiamo a farlo. Sei l’avanzo d’innumerevoli caduti che in te proseguono il cammino. Benvenuto al peggio che ti offriamo». “Toto asilo” Il richiedente asilo è colui che è fuori dal proprio paese ed inoltra una domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. La sua domanda viene valutata dalla Commissione Territoriale e, in caso di non accettazione, dal Tribunale Civile e poi ancora dalla Corte d’Appello. Molte delle audizioni dei nostri ragazzi hanno avuto luogo presso la Commissione Territoriale di Torino, nel mese di agosto 2014. Di 25 richieste, 21 hanno avuto esito negativo, a due richiedenti è stata concessa la protezione umanitaria, a un richiedente la sussidiaria e ad un altro l’asilo politico. Sorprendono le motivazioni con cui la Commissione ha giustificato la sua decisione, in un senso e nell’altro. “La dichiarazione della morte del padre e le incerte sorti della madre e sorella minore, poi, non sono espresse, in sede di audizione, con il richiesto pathos” oppure, il racconto “presenta mancanza di partecipazione vissuta”. Nell’impossibilità di prove oggettive che testimonino il racconto del richiedente, è ammissibile che una Commissione di esperti valuti come dimostrazione di veridicità un certo “pathos” nell’esporre le vicende legate alla morte dei propri famigliari? Per noi non lo è. Sfortunato chi è stato esaminato da un amante della tragedia greca, perché se per alcuni membri della Commissione il riconoscimento di un qualsivoglia titolo di protezione, sia anche per motivi umanitari, deve fondarsi solo ed esclusivamente sulle vicende personali del richiedente e la situazione nel Paese di origine, ad altri basta molto meno. Così, in un unico caso, la protezione umanitaria è stata rilasciata… in quanto “ha consegnato una relazione della Associazione in cui si attesta che lo stesso partecipa attivamente a tutte le attività di integrazione e socializzazione previste dal progetto” “…considerata la sua giovane età”. Non che gli altri richiedenti si fossero presentati senza una nostra relazione sul loro percorso di integrazione, né che abbiano un’età di molto maggiore. La domanda che molti si sono posti, apparentemente infantile ma vissuta con senso di grande ingiustizia, è stata “perché io no e lui si?”. Storie di ordinaria INgiustizia Ma come in ogni sistema giuridico che si rispetti, l’iter legale non si conclude al primo “no”. Si può dunque fare ricorso alla Commissione e richiedere una seconda valutazione da parte del Tribunale Civile. Le udienze sono iniziate bene, a gennaio, con il riconoscimento da parte del Tribunale della protezione sussidiaria a un richiedente nigeriano. Serviva davvero una seconda valutazione per ammettere che la vita di un cristiano nel nord della Nigeria è minacciata dai continui attacchi terroristici da parte delle forze di Boko Haram? Nella sua ordinanza, il Tribunale ci ha comunque tenuto a precisare che “il racconto del richiedente risulta inverosimile”. I festeggiamenti sono presto finiti quando è arrivata la seconda ordinanza del Tribunale, questa volta negativa. Di nessun valore, agli occhi della legge, l’impegno dimostrato da questo giovane che fin dal primo giorno si è prestato a titolo volontario, poi con contratto di tirocinio, al servizio dell’accoglienza di altri richiedenti asilo e della società. Il suo impegno è stato riconosciuto di alto valore sociale da numerose altre istituzioni e media locali. Non è stato così per il Giudice, che il giorno dell’udienza, che il ragazzo non ha presenziato in quanto impegnato a sostenere l’esame di italiano A2 – approvato a pieni voti, ha affermato: “il richiedente tra l’altro, privo di documenti e sedicente, non si è neppure presentato personalmente all’udienza fissata dal giudice”. La mancata presenza, non ritenuta obbligatoria dalla legge, ha influito “negativamente sulla possibilità di accoglimento della domanda”. “Non esistono i clandestini esistono i destini” (Erri De Luca) Arriviamo ora al nocciolo della questione: cosa succede a chi vede respinta la sua richiesta dal Tribunale? Può presentare ricorso alla Corte d’Appello ma, di fatto, la sua presenza sul territorio italiano è irregolare. La legge si aspetta che faccia ritorno in patria, con mezzi propri, in attesa che la Corte si pronunci. Non serve giustificare il perché questa richiesta appaia, a tutti noi, surreale e susciti sempre una smorfia sui volti, a metà tra lo stupore e l’amarezza. Di fatto questi migranti restano sul territorio, preferibilmente nella città che li ha accolti dall’inizio e dove hanno tessuto reti informali di contatti e amicizie attraverso la scuola, il volontariato e, a volte, il lavoro. Sono però destinati a vivere nella zona d’ombra, dove ogni passo fatto verso l’integrazione non solo non serve più a nulla ma diventa fin rischioso. I contratti di lavoro attivi decadono, non possono continuare a frequentare la scuola, né avviare quei percorsi di formazione professionale di cui attendevano l’inizio da tempo. I paradossi di un diniego: vanificare l’impegno dei ragazzi e degli operatori Se i richiedenti soffrono le falle di questo iter legale sulla propria pelle, noi, operatori dell’accoglienza, ci interroghiamo sul senso del nostro lavoro. Ci impegniamo per favorirne l’integrazione in tutte le sue forme: linguistica, culturale, sociale, economica…ma a che pro? Sono tanti i paradossi con cui ci scontriamo quotidianamente, due sono più clamorosi degli altri: 1. Abbiamo i posti di lavoro, ma non i lavoratori. Anche grazie a progetti che hanno ottenuto finanziamenti, qual è il caso di Bee My Job, abbiamo attivato misure di incentivo all’assunzione tramite tirocinio e identificato aziende interessate ad avviare questi percorsi. Non solo, molte si sono mostrate disponibili a offrire ai tirocinanti anche vitto e alloggio e interessate a proseguire il rapporto di lavoro a futuro. Insomma, opportunità concrete di inserimento lavorativo ed emancipazione economica. Opportunità che andranno perse perché senza un titolo di soggiorno non potranno essere attivate. 2. Ci siamo preparati a proseguire l’accoglienza ma non possiamo farlo. Abbiamo sempre sostenuto, fin dagli inizi del progetto, la necessità di un “fondo di accompagnamento” che permettesse di proseguire l’accoglienza in appartamento oltre la fine ufficiale della Convenzione con la Prefettura di Alessandria. Così abbiamo fatto. L’attuale fondo è composto da risparmi derivanti dagli ingressi della Convenzione e da donazioni raccolte durante eventi vari e la campagna natalizia. La scelta dell’accoglienza in appartamento era stata in funzione del “dopo”, per permettere ai nostri ospiti di intestare, un giorno, l’affitto a loro nome e poterli accompagnare gradualmente nel loro processo di autonomia. Tuttavia, non è possibile ospitare chi è, agli occhi della legge, irregolare sul territorio italiano. Ecco che il fondo di accompagnamento non potrà più essere destinato agli affitti ma dovrà essere destinato “all’uscita individuale”, quindi diviso tra tutti i ragazzi a rischio, diventando un importo esiguo. Tu, cittadino come ti poni di fronte a questi temi? Poiché i fondi con cui si accoglie sono fondi pubblici, è interesse di tutti che non vadano sprecati in progetti che, per falle del sistema, altro non sono che una soluzione effimera a un problema che ci riguarda tutti. “Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere.” (Gabriele Del Grande) Siamo nella stessa barca: tutti nella stessa condizione, il più delle volte difficile e precaria. Riconoscere un titolo di soggiorno ai richiedenti asilo è condizione necessaria per restituirgli dignità e non costringerli a non avere altra scelta che aumentare il disagio sociale che già grava nella nostra città. Ancor di più, bisognerebbe proseguire nel ragionamento fino a rendersi conto che la mobilità internazionale è un diritto inalienabile. Chiediamo insieme politiche di accoglienza e integrazione per garantire un futuro a chi mette a rischio la sua vita per arrivare fino qui. È necessario denunciare il mal funzionamento della gestione dell’accoglienza e i limiti dell’iter legale di richiesta di asilo. Non ultimo, restiamo umani! Non si può continuare a restare indifferenti di fronte alle tragedie che si consumano nel Mediterraneo, perché queste morti hanno delle precise responsabilità politiche. È necessario garantire arrivi legali e sicuri, aprire canali umanitari e anteporre la vita umana al controllo delle frontiere! Se l’accoglienza finisce, le vite continuano! Ci siamo chiesti più volte come far fronte alla situazione che stiamo vivendo in questo periodo noi operatori e migranti. Abbiamo consultato vari esperti, operatori e amici ma il panorama non è così promettente. Un aiuto concreto e immediato che possiamo dare a chi è a rischio di irregolarità è l’aiuto economico. Per questo ti invitiamo a partecipare alla CENA DI RACCOLTA FONDI che si terrà il prossimo 20 febbraio alle ore 20:00 presso il Centro d’Incontro Rione Cristo (Via S. Giovanni, n.8) PARTECIPA E INVITA I TUOI AMICI A FARLO! Se il cielo è di tutti, perché non può esserlo anche la terra? (Da “Io sto con la sposa”)