Una piacevole chiacchierata a cavallo tra letteratura ed Europa quella intercorsa tra le ragazze del gruppo di lettura del Bookstock Village (Giulia Calì, Martina Dattilo e Sofia Ferrara) e lo scrittore greco di origine turche Petros Markaris.
Proprio dal concetto di origini e, in particolare, patria è cominciata la conversazione. “Ho un problema con la patria”, ha detto,”se mi chiedete cos’é, dico che non lo so”. La Turchia “non lo é mai stata” in quanto terra molto nazionalista. Nel soggiorno a Vienna parlava “meglio il tedesco del turco”, ma ciò non l’ha aiutato a non sentirsi ” molto solo”, in un’epoca senza Erasmus e distante dalla madre e dalla lingua madre, cioè il greco.
Si è passati poi a parlare delle evoluzioni del romanzo, dal modello inglese dagli scenari indefiniti a quello entrato in voga con Simenon, il primo a descrivere la città oltre che le situazioni romanzesche. Una falsariga condivisa e ulteriormente sviluppata da Montalban con Barcellona e da Camilleri con la Sicilia. L’autore italiano è portato a esempio anche di come il romanzo mediterraneo assuma spesso le caratteristiche di “romanzo sociale” più che vero e proprio giallo, con forte presenza della famiglia. La sua, la Charitos, l’ha trovata un giorno insieme al detective Kostas, e non ha potuto più separarsene, abbandonando la scrittura di sceneggiature e permettendosi una sola scappatella con la traduzione del ‘Faust” di Goëthe. Il suo romanzo non esiste senza un po’ di ironia, perché uno “fatto solo di lacrime non servirebbe a nulla”.
Dalla finzione basata sulla realtà greca alla vita reale già abbastanza tragica in Grecia il passo è stato breve. Markaris sapeva che “la crisi era venuta non come turista ma con permesso di soggiorno” e il suo problema con essa é che “io sono stufo di lei, lei non é stufa di noi”. L’Europa ha sbagliato a unirsi solo sui “soldi”, dimenticando cultura e valori condivisi. Peggio ancora, gli europei non hanno mai voluto una federazione vera, accontentandosi di quella “falsa” di Schengen. Nè, oggi, vogliono risolvere davvero il problema dei migranti, in particolare quei paesi come l’Ungheria che “dall’esperienza del socialismo” hanno imparato solo come “chiudere le frontiere”.
Non è mancato poi un appello ai giovani a “non smettere di combattere anche se non si è sicuri di vincere”, compito non semplice in una società fortemente individualista e ipocrita come quella attuale.
Stefano Summa