La legge prevede che in caso di morte del coniuge, lavoratore o pensionato, i superstiti abbiano diritto alla reversibilità, questa è una prestazione previdenziale finalizzata a ridurre lo stato di bisogno economico sorto nel nucleo familiare.
Nel caso che a mancare sia un lavoratore non ancora titolare di pensione, la reversibilità spetta ai superstiti a condizione che il dante causa, in vita, raggiungesse particolari requisiti contributivi: almeno 15 anni di contribuzione versata in qualunque epoca o almeno 3 nel quinquennio precedente la morte del lavoratore. In mancanza di queste condizioni, la legge purtroppo preclude ai familiari la possibilità di beneficiare della prestazione pensionistica.
Diversamente, nel caso di defunti già titolari di pensione, i superstiti hanno diritto alla prestazione di reversibilità senza necessità di perfezionare alcun requisito contributivo.
La legge individua i soggetti beneficiari della pensione riconoscendo una particolare tutela al coniuge. Il vedovo o la vedova hanno diritto a una prestazione pari al 60% dell’importo della pensione del coniuge deceduto. L’assegno così calcolato è soggetto a un’ulteriore riduzione che può variare dal 25 al 50% a seconda che i redditi personali del coniuge in vita superino i limiti previsti anno per anno dalla legge.
Nel 2011, il legislatore ha introdotto una particolare penalizzazione dell’importo della pensione per evitare il diffondersi dei matrimoni di comodo: se il matrimonio è stato contratto dopo il compimento del 70° anno del coniuge deceduto, e la differenza di età fra i coniugi è superiore a 20 anni, l’aliquota percentuale deve essere ridotta del 10% per ogni anno di matrimonio mancante al 10.
Il diritto alla pensione ai superstiti cessa per il coniuge che contragga nuovo matrimonio, in questo caso l’Inps riconosce un una tantum pari a una doppia annualità di pensione, comprensiva della 13esima mensilità.