Referendum: perché è stato un fallimento.

Come si è potuto leggere e sentire in questi giorni, i cinque referendum sulla giustizia del 12 giugno 2022 non hanno raggiunto il quorum, con un dato di affluenza bassissimo (meno del 20% degli aventi diritto si sono infatti recati alle urne, percentuale più bassa nella storia della Repubblica per un referendum abrogativo).

Un flop del referendum sulla giustizia era indubbiamente nell’aria, ma certamente non di queste proporzioni.

Ma qual è il motivo del così diffuso astensionismo riscontrato in questa tornata referendaria? È davvero possibile sia dovuto solo ad una ipotetica “disaffezione” alla politica?

Ne ho lette di tante in questi giorni: tra chi incolpa i partiti che hanno mostrato ben poco entusiasmo verso questo referendum, chi dà invece la colpa agli elettori che sono sempre più distanti dalla politica e dalla volontà di esercitare il loro diritto (ma anche dovere) di voto e chi, ancora, si lamenta per una scarsa “pubblicizzazione” da parte degli stessi mass media che avrebbero dovuto far veicolare, in maniera più o meno esplicita, il messaggio dell’importanza di recarsi alle urne domenica.

Leggendo molti dibattiti sui social tra persone delle età più disparate ho potuto però constatare che per questa tornata referendaria c’è qualcosa in più da dire, c’è anche dell’altro.

Prima di tutto va detto che il flop del referendum sulla giustizia dovrebbe in ogni caso preoccuparci: il fatto che infatti gli elettori non si affidino più al mezzo più democratico a disposizione è sintomatico del fallimento di un intero sistema, e non è qualcosa di invece meramente episodico.

Qui siamo ben oltre il quorum mancato: come detto in precedenza, in realtà mai come questa volta le persone hanno voluto informarsi. Hanno cercato informazioni e hanno cercato di capire. Nonostante ciò la scelta è stata quella di astenersi. Perche? Le risposte sono state diverse: quesiti poco comprensibili, poco efficaci, poco chiari. Questioni troppo tecniche e formulate in un modo così preciso da mandare in confusione chi “non se ne intende”. Altri, ancora, hanno reputato buona parte dei quesiti (se non tutti) di scarsa rilevanza, quanto meno allo stato attuale delle cose e dopo che referendum come quello sulla eutanasia legale, fortemente vivi nel sentire popolare, sono stati dichiarati inammissibili.

Sostanzialmente l’accesso alle urne è direttamente proporzionale al livello di rilevanza politica e sociale: quando le cittadine e i cittadini sono stati chiamati a dire la propria su temi di interesse generale, come ad esempio l’ordinamento democratico dello Stato, l’aborto, il divorzio… è stato superato ampiamente il quorum richiesto; diversi ed opposti risultati si sono invece avuti quando invece la consultazione è, appunto, apparsa troppo tecnica, su temi troppo specifici e dunque con effetti non immediatamente comprensibili e percepibili dall’elettore medio. Inoltre è inutile negare che non esistono consultazioni popolari nazionali prive di un significato politico specifico. Di conseguenza, non può essere tutto riassunto in una semplicistica riduzione in “interesse” e “disinteresse” per i quesiti referendari proposti perchè in un referendum politico di natura abrogativo l’astensione al contrario può dimostrare una scelta attiva da parte dell’elettorato.

E questa consultazione nello specifico è nata con la richiesta congiunta da parte di nove consigli regionali tutti a maggioranza di centro-destra. Non è da sottovalutare, dunque, il fatto che si è trattato di un referendum non richiesto dai cittadini mentre quello sulla cannabis e sulla eutanasia, fortemente voluti, sono stati invece semplicemente dichiarati inammissibili dalla Consulta.

Tra i motivi di questo risultato c’è anche la disillusione di una larga parte degli italiani convinti dell’inutilità dello strumento, dato che spesso in passato sono stati introdotti provvedimenti legislativi che non rispettavano l’esito referendario.

Ciò che emerge è che comunque, in ogni caso, è necessario smuovere qualcosa per spingere verso un utilizzo più appropriato di questo importante strumento di democrazia diretta evitando che poi questi episodi possano tramutarsi in una vera e propria sfiducia totale verso il nostro ordinamento.

Ludovica Italiano

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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