Ecco la risposta di una professionista del laboratorio.
“Sequenziare il Microbiota intestinale – ha spiegato la dottoressa Valentina Pizzo – significa identificare tutta la popolazione batterica presente nell’intestino, anche quella che normalmente non riesce a crescere in provetta, fornendo un quadro completo utile a diagnosticare eventuali patologie. Invece, sequenziare i Micobatteri fornisce l’identificazione dei microrganismi e di eventuali resistenze agli antibiotici”.
Il protocollo
Per questo tipo di sequenziamento dura più giorni e si articola in molte fasi, a partire dall’estrazione del Dna dalle cellule batteriche, all’indicizzazione dei vari frammenti di genoma ottenuti, alla purificazione con biglie magnetiche, fino al caricamento vero e proprio sul sequenziatore.
Tutti i passaggi sono molto delicati: vanno svolti con precisione, velocità, temperature controllate e rispetto dei tempi. Una volta iniziate le operazioni, non ci si può fermare per diverse ore.
La spiegazione
“Queste caratteristiche – ha sottolineato ancora Valentina Pizzo – rendono il sequenziamento una tecnologia molto diversa dalle attività consuete, quindi la sfida sarà quella di amalgamare le due realtà, per rendere questa nuova tecnologia sempre più accessibile e fruibile. La complessità della tecnica è ripagata dalla qualità e quantità di informazioni restituite e non ottenibili con nessuna tecnica tradizionale”.
Il sequenziamento
Quello utilizzato nell’ambito del trapianto intestinale fornisce un quadro di salute del paziente, mentre quello nell’ambito dei micobatteri permette di dare al clinico, quasi un mese prima rispetto alle colture tradizionali, informazioni importantissime sull’impostazione della terapia da utilizzare.
Info
Per saperne di più, sul canale YouTube dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria è presente il video di approfondimento: https://youtu.be/Cif6olchmII.