Solo due mesi fa i giornali raccontavano dell’incomprensibile scelta della regione Umbria di retrocedere rispetto alla normativa regionale che già garantiva (seppur parzialmente) il day hospital per l’RU486. La risposta delle donne umbre non si è fatta attendere e, grazie a manifestazioni di piazza e prese di parola collettive, la mossa della presidentessa di regione Donatella Tesei si è trasformata in un boomerang che ha riportato il tema all’attenzione dei media imponendo al governo nazionale di prendere una posizione netta.
La battaglia per la modifica della normativa sull’RU486 è un tema trasversale a molte realtà associative e di movimento che in questi anni hanno lavorato per imporre al governo di riprendere in mano la legge e uniformare l’Italia alla maggior parte dei paesi europei, in cui l’aborto farmacologico è percentualmente più comune di quello chirurgico (considerato troppo invasivo sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico).
Le mobilitazioni di questi anni, la campagna SOS aborto, le firme raccolte dalla petizione di pro-choice e le migliaia di iniziative di sensibilizzazione hanno finalmente portato a risultati concreti e dal governo nazionale arriva uno spiraglio di miglioramento, una mossa che va nella direzione giusta, che permette di intravedere quel “molto più di 194” che per Non una di Meno ha rappresentato in questi anni la difesa e al tempo stesso il superamento della legge sul diritto all’aborto del 1978. Insomma, eravamo già pronte ad alzare i calici e brindare, consapevoli che questa vittoria è anche e soprattutto nostra, dei movimenti femministi e delle donne che non hanno mai smesso di lottare per tutelare il proprio diritto di scegliere se e quando diventare madri.
Ma ecco arrivare, com’era prevedibile, la valanga di giudizi, pareri non richiesti e rivisitazioni scientifiche dei vari esponenti ecclesiastici e dei noti personaggi alla Pillon che inveiscono contro l’aborto e non sopportano l’idea che le donne possano scegliere.
Tra le diverse voci (quasi sempre maschili) che si alzano per “difendere la vita” e imporre a forza la genitorialità, anche quella dell’assessore piemontese Maurizio Marrone, che scomoda gli uffici legali della Regione alla ricerca di un cavillo legislativo a cui aggrapparsi per non applicare le nuove linee guida.
I giornali che hanno riportato la notizia citano virgolettandole le parole dell’assessore: “Prima di ricorrere all’aborto, alle donne che stanno vivendo una gravidanza difficile, la legge 194 assicura di rivolgersi ai consultori e ai centri di aiuto alla vita, dove possono ricevere sicuramente un sostegno concreto per poter scegliere la vita e non la morte. Consentire che la pillola Ru486 sia somministrata in ospedale e poi la donna possa uscirne ed espellere l’embrione-feto in privato e in totale solitudine, la espone a rischi di gravi e fatali emorragie”.