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Ottobre rappresenta per molti appassionati di film e serie TV, specie se provenienti dagli Stati Uniti, un mese importantissimo: in questo periodo dell’anno, infatti, sarà ufficialmente lanciato in Italia Netflix. Si tratta del più noto servizio di trasmissione di contenuti audiovisivi in streaming, cioè consumabili direttamente online, senza la necessità di dover “scaricare” alcunchè, senza limiti di utilizzo e, soprattutto, senza pubblicità.

L’annuncio, dato dal CEO del servizio Reed Hastings a Wired Italia, ha aperto un vivace dibattito sull’impatto che esso potrebbe avere sul mercato televisivo italiano, nonchè sulla qualità di Internet e sull’effettiva fruibilità di prodotti esclusivi in Rete nel nostro paese.

Cos’è Netflix?

Nato nel 1997 come servizio a sottoscrizione per la distribuzione e il noleggio di DVD via Internet con un abbonamento mensile, Netflix s’è fatta strada tra le secche della dot-com economy, che ha lasciato diverse vittime alle sue spalle, diventando un’azienda di successo e, al tempo stesso, rivoluzionaria. A partire dal 2007, infatti, è stato operato un graduale passaggio dalla distribuzione di DVD alla trasmissione diretta di contenuti in streaming e on demand, settore letteralmente esploso negli anni a seguire.

Così Netflix è diventato uno dei maggiori player nel mercato dell’intrattenimento a livello mondiale, operando una “distruzione creativa” che ha mandato allo sbando il tradizionale noleggio di video e DVD à la Blockbuster e avviato un lento processo di erosione della TV via cavo (attraverso il fenomeno del cord cutting).

I numeri rilasciati dall’azienda in relazione al primo quarto di 2015 parlano abbastanza chiaro sulla solidità del succitato successo di Netflix: sessanta milioni di iscritti (quaranta negli USA e venti al di fuori, distribuiti in 50 nazioni), fatturato di 1 miliardo e 570 milioni. I profitti sono in calo dai 53 milioni del Q1 2014 a 23 milioni di quello 2015, per alcuni analisti anche a causa di una saturazione del mercato domestico USA, dovuta alla presenza ostica di concorrenti come HBO Now, Hulu e Sling TV, per citarne alcuni.

In questo contesto rientra la strategia di allargare la base di utenti al di fuori dei confini nazionali, dando il via alla creazione e al marketing di contenuti originali, che l’azienda rivendica abbia dato risultati sui mercati internazionali.

Cosa propone Netflix agli italiani?

Gli utenti che si iscriveranno a Netflix, passato un primo mese di prova gratuito, pagheranno probabilmente da 7,99 € (prezzo base in Francia per la versione in Standard Definition su un solo dispositivo) a 11,99 € (versione in 4K, ove supportato, sfruttabili da ben 4 dispositivi diversi) per un catalogo così composto:

L’appassionato più attento avrà sicuramente notato l’assenza di due autentici pezzi da novanta trasmessi dalla versione americana di Netflix, cioè House of Cards e Orange Is the New Black. Queste serie tv, prodotte da case indipendenti dal servizio, hanno già venduto i loro diritti di trasmissione in Italia ad altri operatori, rispettivamente a Sky e Mediaset. Le puntate di OITNB saranno proposte agli iscritti dopo la prima visione su Mediaset Premium, mentre quelle di HOC potrebbero apparire in quella che Wired Italia definisce “la terza finestra italiana, cioè le repliche delle repliche”. E’ ancora da definire lo status di Marvel’s Daredevil, prevista sia nel palinsesto di Mediaset che in quello del Netflix tricolore.

Netflix è pronto per l’Italia?

L’aspetto della concorrenza è solo uno dei tanti cui l’azienda di Los Gatos, California, dovrà far fronte sul suolo italiano. Probabilmente in previsione del suo arrivo, Sky e Mediaset si sono premurate di lanciare iniziative simili a Netflix, cioè in grado di offrire ai propri abbonati la possibilità di usufruire dei contenuti offerti dalle due piattaforme a richiesta (on demand), via Internet e su una moltitudine di dispositivi.

Se, da un lato, Sky On Demand e Premium Play rappresentano perlopiù un’estensione del normale abbonamento alla pay-tv, dall’altro Sky Online e Mediaset Infinity rappresentano quanto di più vicino ci sia a un diretto concorrente di Netflix, essendo entrambi servizi on demand e che comportano una sottoscrizione di servizio diversa rispetto a quella dei “genitori” Sky e Mediaset Premium.

Come sottolineato dall’ottimo articolo pubblicato su Tech.Everyeye.it da Valerio Frau, il vantaggio delle piattaforme di Murdoch e Berlusconi è quello di rappresentare “due realtà particolarmente radicate ed egemoni, che godono nei confronti della compagnia americana di una posizione di netto vantaggio”. Frau afferma che “difficilmente gli americani si sono trovati in presenza di un panorama già così affollato e che soprattutto prevede forti rapporti commerciali in essere”.

Vale la pena citare a questo punto la disanima fatta da Frau riguardo i diritti di riproduzione, a suo parere uno dei “numerosi fattori, che per diverso tempo hanno fatto tentennare i dirigenti di Netflix sull’ipotesi di arrivare ufficialmente nel nostro mercato”:

Partiamo dai diritti di riproduzione: ogni paese presenta un sistema diverso, per cui la società californiana si trova costretta ad approntare un piano diverso in ogni nazione in cui voglia lanciare il proprio business. Per quanto riguarda l’Italia in particolare, il sistema dei diritti di trasmissione di film provenienti dal circuito cinematografico prevede diverse “finestre” di esclusività. Un servizio di streaming che proponga un canone di sottoscrizione infatti (come per l’appunto Netflix) può attingere soltanto ai titoli sotto licenza SVOD (Subscription Video On Demand); generalmente un lungometraggio impiega, dall’abbandono delle sale, 36 mesi ad arrivare in questa condizione (dopo i passaggi nella fase di noleggio, vendita ed esclusiva TV e Web TV). Questo, per la concorrenza, rappresenta un discreto vantaggio tattico, in quanto servizi come Sky Online aggirano il problema proponendosi come strumenti di replica per trasmissioni in diretta su canali televisivi, che quindi rientrano nella fascia di esclusiva relativa, che si apre all’incirca dai 4 ai 18 mesi dall’uscita di un film nelle sale. Le date di esclusiva non sono fisse e le singole compagnie possono accordarsi per gestire dinamicamente queste licenze. Per dotarsi di una lista concorrenziale sotto il profilo delle novità cinematografiche, Netflix dovrà quindi portare avanti una politica di accordi con le potenti major, che consentano ai film provenienti dal cinema di approdare sulla piattaforma nel minor tempo possibile.

Dal punto di vista tecnico, la vera croce che Netflix dovrà portarsi dietro, chissà per quanto, concerne la qualità di Internet in Italia, nello specifico la larghezza di banda. Non è un segreto che il Belpaese sia tra gli ultimi in Europa in base alla diffusione e alla qualità delle connessioni broadband disponibili. Anche se tale “mal comune” è condiviso da tutti i servizi in streaming disponibili in Italia (per es. Spotify), ciò non costituisce un “mezzo gaudio” per Netflix. Quest’anno, infatti, Variety ha riportato i risultati di uno studio secondo il quale il servizio nelle ore di punta consuma il 36.5% della banda disponibile negli USA, più di YouTube, Amazon e Hulu messe insieme. Una quantità di dati piuttosto ingente per un solo sito, quindi.

In attesa di una definizione dei piani governativi riguardo lo sviluppo della banda larga, fermi a uno sterile tira e molla politico-industriale, che ha saputo produrre sinora solo annunci e titoli sui giornali, gli americani plausibilmente cercheranno di instaurare accordi strategici con Telecom e altri operatori nel mercato delle TLC.

L’Italia è pronta per Netflix?

Un paese che, secondo l’Unione internazionale delle telecomunicazioni delle Nazioni Unite, è al 32esimo posto su 61 paesi per velocità, dietro a Germania, Francia, Spagna e Kazakhistan, non offre sollievo alle speranze di sfondare nutrite da Netflix. Ancora meno bene fanno sentire le statistiche dell’Istat, per cui solo il 57% degli italiani è in Rete, mentre i concittadini europei lo sono al 77,6%.

Prendendo poi in considerazione il tipico prodotto televisivo italiano, spicca la notevole estraneità ai contenuti in lingua originale e la netta prevalenza di programmi d’intrattenimento in lingua italiana. Se Netflix ha l’ambizione di ampliare la propria fetta di potenziali abbonati, come ovvio per chi opera come un business in un contesto capitalistico, dovrà riadattare con dovuti sottotitoli o doppiaggi la stragrande maggioranza della sua library, quasi tutta in inglese, e, soprattutto, accordarsi con case di produzione nostrane per programmi originali nella nostra lingua.

E’ ancora presto per poter fare solide previsioni su come se la caverà Netflix nel nostro paese. Tuttavia, non sono già mancate considerazioni sulle possibili conseguenze che il “Netflix effect” potrebbe sul mercato televisivo italiano, dominato da pochi grandi operatori, asfittico dal punto di vista creativo e pressochè incapace di creare prodotti in grado di non sfigurare dinanzi a quelli americani  o britannici (fatta eccezione per Gomorra e Boris).

Innanzitutto, la natura particolare del modello di business di Netflix, cioè un servizio che vive di sottoscrizioni e non di pubblicità o di Auditel, potrebbe creare una situazione interessante. Infatti, una maggiore libertà in questo senso potrebbe portare alla creazione di nuovi programmi (un House of Cards nostrana, per esempio) o alla riproposizione di progetti abbandonati ma pur sempre validi (come i casi di Arrested Development e Wet Hot American Summer dall’altra parte dell’Oceano) senza la preoccupazione che gli inserzionisti li possano apprezzare o no o che gli ascolti li premino o li affossino.

A far da eco a quanto detto, vi sono le parole di Augusto Preta, analista di mercato, docente di economia dei media e fondatore di ITMedia Consulting, raccolte da Valeria Covato in un’intervista pubblicata su Formiche.net:

Nel rapporto però emergono elementi che non fanno pensare solamente ad una evoluzione ma anche ad una rottura dei modelli tradizionali. “Ci sono elementi distruttivi che impongono ai broadcaster, all’industria tradizionale, di ripensare il proprio business”. Ma c’è anche un secondo aspetto: “Tanto più ci sono dei prodotti che fanno da traino a questo tipo di offerta (come le serie tv) e tanto più c’è un rischio di cambiamento anche dei modelli tradizionali di finanziamento della televisione”, spiega Preta.
Ecco perché: “Le serie, uno dei punti di forza dei broadcaster generalisti, vengono adesso realizzate anche da operatori a pagamento, i quali non sono interessati a sviluppare la pubblicità, per il semplice fatto che la fruizione avviene in modalità del tutto diverse da quelle tradizionali (a partire dal cosiddetto binge viewing). La sottoscrizione di un abbonamento si va quindi a sostituire alla pubblicità come fonte di finanziamento di questi contenuti”, spiega l’esperto.
Conclusione? “Se operatori Vod nativi come Netflix sono diretti concorrenti ormai a pieno titolo degli operatori tradizionali di pay tv, la loro presenza sempre più invasiva rimette in discussione anche il modello generalista da sempre basato sulla pubblicità. Non è quindi più solo un problema tra pay tv e over the top, ma un problema di competizione (e possibile distruzione) con la tv nel suo complesso così come l’abbiamo conosciuta finora e come si è sviluppata per decenni”, osserva il direttore di ITMedia Consulting.

Come accennato dallo stesso Preta, una delle novità che Netflix potrebbe portare col suo approdo in Italia riguarda il modo in cui si consuma il prodotto televisivo. La possibilità di poter guardare tutti gli episodi di una serie TV quando e come si vuole (il “binge viewing”) non rappresenta nulla di sconvolgente per chi è già abituato a scaricare illegalmente su Internet serie o film o per chi, più sofisticato, è già abbonato a Netflix camuffandosi come utente americano attraverso l’utilizzo di un VPN. Queste categorie, tuttavia, rappresentano una minoranza rispetto a coloro che possono avere sì una certa familiarità con Internet ma che sono ancora legati alla rigida struttura del palinsesto e dell’appuntamento settimanale per quanto concerne la televisione.

In una selva di incertezze e ipotesi, è chiaro che l’approdo di Netflix rappresenti un elemento in grado di portare una ventata di aria fresca nel mercato televisivo italiano, sempre che vi sia in tempi auspicabilmente brevi l’adeguata infrastruttura per questo servizio e che gli americani siano in grado di attirarci con i prodotti giusti.

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