Libano, un anno dall’esplosione nel porto di Beirut: un Paese in ginocchio.

 

Un paese in ginocchio. È questa l’immagine del Libano a un anno dalla tragedia di Beirut. Il 4 agosto 2020, circa 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio, lasciate apparentemente incustodite in un magazzino del porto, esplosero in una delle deflagrazioni non nucleari più potenti della storia. Un terzo della capitale libanese venne danneggiata, 200 morti e oltre 6000 feriti, mentre 300 mila furono gli sfollati. Una tragedia umanitaria che ad un anno dal suo verificarsi ancora chiede giustizia.

Una ferita profonda che la lentezza delle indagini non aiuta a rimarginare: «se non c’è giustizia nessuno guarirà. – commenta Tony Mikhael, imprenditore dei media libanesi, ferito durante l’esplosione del 4 agosto -. Anche se i palazzi sono ricostruiti e la gente sta rientrando nelle loro case distrutte però questo non ci guarirà se non c’è giustizia» La ricerca dei responsabili è in corso, fa sapere Tareq Bitar, nuovo giudice a capo delle indagini, il presidente libanese Michel Aoun ha recentemente contattato il Procuratore nazionale libanese dicendosi pronto a rilasciare una deposizione sulla vicenda, qualora gli inquirenti la ritenessero necessaria. Le manifestazioni in occasioni dell’anniversario della tragedia si sono dunque svolte all’interno di un clima teso ed ostile. Dopo il minuto di silenzio seguito da tutta la nazione, alcuni manifestanti si sono diretti alla Place de l’Etoile, dove si trova il Parlamento a Beirut, tentando di forzare il cordone di sicurezza della polizia. Scontri e violenze hanno registrato una cinquantina di feriti, tra i manifestanti e agenti della polizia. La violenza si è estesa anche ai sostenitori di gruppi politici, fra cui i seguaci delle Forze libanesi, esponenti della destra conservatrice e quelli del Partito comunista libanese.

Da Svizzera del Medio Oriente al baratro economico

Il Libano, fino ad una decina di anni fa, viveva in una situazione paradossale; famoso per la sua instabilità politica, ma riconosciuto tra i più affidabili per quanto riguardala solidarietà finanziaria. La “Svizzera del Medio Oriente”, così era ribattezzato il paese dei cedri. Il settore bancario privato reggeva l’intera economia del Paese, finanziando l’enorme debito pubblico del governo, che già nel 2011 ammontava al 130% del Pil, uno dei più alti al mondo. Anche la grave crisi economica del 2007-2008, con le sue ricadute bancarie del 2010 e del 2011 non aveva colpito le 54 banche libanesi che al contrario avevano visto rafforzare i propri profitti del 22% nel 2008 e del 12% nel 2011.

Tuttavia, i gravi problemi politici del Paese, totalmente dipendente dalle esportazioni straniere, non tardarono a farsi sentire anche nei suoi risvolti economici. La guerra civile nella vicina Siria rivelo la debolezza strutturale del Libano, incapace di sostenere il peso di un milione e mezzo di profughi siriani, rovesciati in un paese con infrastrutture insufficienti a sostenere il peso della sua stessa popolazione.  Da allora, a causa anche alla crisi sanitaria dovuta alla pandemia, il collasso economico del Libano è stato rapido ed inevitabile, travolgendo la popolazione locale che ora fatica anche ad acquisire i beni di prima necessità. Una situazione insostenibile, aggravata dalla carenza di benzina, spesso venduta attraverso il mercato nero alla Siria, la quale a volte la rivende a caro prezzo al Libano, e soprattutto di gasolio, necessaria per poter alimentare i generatori di corrente.  La disponibilità di elettricità, infatti, è ai minimi storici: 5 ore al giorno nei quartieri più agiati della capitale, mentre solo 5 minuti in quelli più poveri e nei sobborghi. Secondo le stime di Medici senza Frontiere dal 2019 più di metà della popolazione vive sotto la soglia di estrema povertà con meno di un dollaro al giorno, mentre il cibo viene sempre di più razionato e il calmiere dei prezzi quadruplicato ed un’inflazione del 145%, rendendo impossibile la sopravvivenza per chi non riceve aiuti economici da parenti o amici all’estero. Durante un’udienza generale Papa Francesco ha lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo di: «Aiutare il Libano a compiere un cammino di risurrezione con gesti concreti, non con parole soltanto. Auspico- continua il pontefice durante l’Angelus di domenica scorsa- che in tal senso sia proficua la conferenza in via di svolgimento promossa dalla Francia e dalle Nazioni Unite», conferenza che avrebbe come obiettivo di raccogliere 350 milioni di dollari per la popolazione libanese. Dalla Francia di Macron giunge la promessa dei primi cento milioni di euro, nel segno di «nuovo impegno francese per il sostegno diretto alla popolazione libanese» secondo le parole del presidente Macron, in una conferenza stampa rilasciata a Fort de Bregancon, storica residenza estiva presidenziale.  Anche Joe Biden, ricordando 560 milioni di dollari che gli USA hanno già fornito al Libano in questi ultimi due anni, si dice pronto a destinare altri 100 milioni di dollari in aiuti umanitari, invitando i politici libanesi ad avviare una nuova politica di riforme economiche e di lotta alla corruzione, necessaria per portare il paese fuori dal baratro attuale.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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