Una fetta di prosciutto, una mozzarella, una goccia di olio nascondono formidabili scontri di interesse. Richiami al tricolore, strategie di marketing, politiche di prezzo. Etichette mute o scritte in modo poco chiaro. E, in mezzo a tutto questo i consumatori, con sempre meno soldi in tasca e sempre più disorientati.
L’etichettatura d’origine dei prodotti agroalimentari rappresenta un obiettivo per far conoscere al consumatore la vera provenienza della materia prima.
Finalmente è legge l’indicazione di origine obbligatoria per latte e prodotti lattiero caseari, che pone fine all’inganno del falso Made in Italy, con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro stranieri.
L’atteso provvedimento entrerà in vigore dopo novanta giorni dalla pubblicazione avvenuta il 19 gennaio, e sarà possibile, per un periodo non superiore a 180 giorni, smaltire le scorte. Il decreto, fortemente sostenuto da Coldiretti, rappresenta un segnale di cambiamento a livello nazionale e comunitario. Le novità prevedono l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero caseari e l’uso in etichetta delle diciture
“L’etichetta resta anonima per circa un terzo della spesa. Si va dai salumi ai succhi di frutta, dalla pasta al concentrato di pomodoro ai sughi pronti fino alla carne di coniglio. – afferma il presidente provinciale Coldiretti Alessandria Roberto Paravidino – Un risultato che porta ad un’amara considerazione: dalla lotta alla contraffazione e alla falsificazione dei prodotti alimentari italiani di qualità potrebbero nascere trecentomila nuovi posti di lavoro”.
Una cifra che potrebbe migliorare considerevolmente poiché due prodotti alimentari di tipo italiano su tre in vendita sul mercato internazionale sono il risultato dell’agropirateria internazionale che sul falso Made in Italy fattura 60 miliardi di euro nel mondo. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati c’è il Parmigiano Reggiano poi ci sono i salumi più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, che spesso vengono “clonati” ma anche gli extravergine di oliva e le conserve come il pomodoro san Marzano che viene prodotto in California e venduto in tutti gli Stati Uniti.
“A questa realtà – continua il direttore della Coldiretti alessandrina Leandro Grazioli – se ne aggiunge però una ancora più insidiosa: quella dell’italian sounding di matrice italiana, che importa materia prima dai paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia e incrina il vero Made in Italy, proprio perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l‘obbligo di indicare la provenienza in etichetta”.
Se poi i prodotti acquistati sono a chilometro zero ancora meglio perché rappresentano un segnale di attenzione al proprio territorio, alla tutela dell’ambiente e del paesaggio che ci circonda, ma anche un sostegno all’economia e all’occupazione locale. Una responsabilità sociale che si è diffusa tra i cittadini nel tempo della crisi con la crescita ai mercati contadini che in Italia che sono diventati non solo luogo di consumo ma anche momenti di educazione, socializzazione, cultura e solidarietà.
L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica della Coldiretti che con la raccolta di un milione di firme alla legge di iniziativa popolare ha portato all’approvazione della legge n.204 del 3 agosto 2004. Da allora molti risultati sono stati ottenuti anche in Europa ma l’etichetta resta anonima per circa 1/3 della spesa. Due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione in etichetta, come pure i succhi di frutta o il concentrato di pomodoro dalla Cina i cui arrivi sono aumentati del 379% nel 2015 per un totale di 67 milioni di chili, secondo la Coldiretti. L’Italia sotto il pressing della Coldiretti ha fatto scattare il 7 giugno 2005 l’obbligo di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal 1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto.
Il prossimo passo è l’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine del grano impiegato nella pasta condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e già inviato alla Commissione Europea.
L’ETICHETTA DI ORIGINE SULLA SPESA DEGLI ITALIANI
Cibi con l’indicazione origine | e quelli senza |
Carne di pollo e derivati | Salumi |
Carne bovina | Carne di coniglio |
Frutta e verdura fresche | Carne trasformata |
Uova | Frutta e verdura trasformata |
Miele | Derivati del pomodoro diversi da passata |
Passata di pomodoro | Concentrato di pomodoro e sughi pronti |
Latte/Formaggi | Derivati dei cereali (pane, pasta) |
Pesce | Riso |
Extravergine di oliva |
Fonte: Elaborazioni Coldiretti