Il fuoco del conflitto fra israeliani e palestinesi, guidati nella lotta armata dal gruppo politico e paramilitare di Hamas, si riaccende e torna la guerra sulle terre bagnate dal Giordano.
Una guerra senza fine
Il conflitto in corso ha lunghe radici, visibili già agli albori della nascita dello Stato ebraico. Infatti, decenni di tumulti, causati dalla presenza del movimento sionista in Palestina, appoggiato dall’allora protettorato britannico, hanno accompagnato la fondazione dello Stato d’Israele. A partire dagli Stati Uniti, tutta la comunità internazionale, fatta eccezione per i paesi arabi confinanti, hanno riconosciuto la nascita dello Stato ebraico nonostante il mancato rispetto dei termini stabiliti dall’Onu. A sostegno delle popolazioni arabe una coalizione formata da Egitto, Giordania e Libano diede avviò alla prima guerra arabo-israeliano, proprio nei giorni seguenti la fondazione di Israele. Le vittorie israeliane nei primi tre conflitti combattuti contro le leghe arabe, nel 1949, nel 1956 e nel 1967 estesero lo Stato ebraico ben oltre i confini previsti dalle Nazioni Unite. Dopo la Nakba, “la catastrofe” del 1949, oltre 700.000 palestinesi furono esiliati e costretti a lasciare il proprio territorio natale, abbandonando case, beni e proprietà, costretti il più delle volte in lunghe marcie della morte, stipati all’interno di campi profughi allestiti negli stati arabi limitrofi, restii anche essi ad ospitarli. Le deportazioni e le sofferenze subite, dall’una e dall’altra parte, contribuirono a rinsaldare, da un lato, il nazionalismo violento degli arabi palestinesi, ritrovatisi senza patria e, dall’altro, alimentò la stessa identità nazionale israeliana, intensificata dall’enorme migrazione delle comunità ebraiche sparse nel mondo, ritornate ora nella “terra promessa”.
Un dialogo tortuoso
Presto si formarono varie organizzazioni politiche chiamate a rappresentare le istanze dei palestinesi. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), fondata nel 1964 a Gerusalemme, lavorò a lungo sul piano politico e diplomatico, pur non disdegnando la lotta armata, riuscendo infine ad ottenere anche il riconoscimento da parte della comunità internazionale. Gruppi paramilitari come Hamas, invece, presero il sopravvento durante le rivolte popolari palestinesi, ricordate con il nome arabo di intifade, ovvero “sollevazioni”. Gli accordi di Oslo, siglati nel 1993, sembrarono rappresentare una svolta nel dialogo fra le due fazioni in conflitto. L’Olp riconobbe a Israele il diritto di esistere, mentre Israele garantì la demilitarizzazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, permettendo la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese.
“La guerra è politica con altri mezzi”
Nonostante l’impegno preso ad Oslo, Israele ha continuato negli anni a sostenere una politica discriminatoria ai danni della popolazione palestinese residente nei suoi territori. L’escalation di violenze attuali ha avuto inizio a causa dei contrasti avvenuti nella parte orientale di Gerusalemme, città contesa dalle due forze in conflitto, ma interamente controllata da Israele, che l’ha resa, nonostante le direttive Onu, capitale ufficiale del proprio stato. Nel quartiere di Sheikh Jarrah, situato nella parte orientale della città, a maggioranza araba e quindi teoricamente palestinese, una trentina di famiglie sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. All’intervento dell’esercito israeliano pro-sgombero Hamas ha reagito con forza, dando avviò all’attuale conflitto. Di certo la forte presa di posizione che ne consegue rafforza la posizione politica da parte di coloro che rifiutano la via diplomatica e il compromesso. Sia il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in difficoltà dopo l’ultima tornata elettorale, sia Hamas, che rivaleggia il controllo della Cisgiordania con il partito laico e moderato Fatah, stanno rafforzando in questo modo il proprio potere politico e la presa sul proprio bacino elettorale. Come sempre la guerra rischia di trasformarsi in un mero calcolo politico, nel quale il sogno di una risoluzione federale e pacifica sembra naufragare nel mare degli interessi politici.
Daniele De Camillis