Il “nuovo” attivismo per l’ambiente
Novembre è ormai iniziato e c’è qualcosa di evidente agli occhi di tutti: le temperature di queste settimane sono state spaventose, siamo negli anni più caldi di sempre.
Dico spaventose perché, benchè sia divertente e forse anche emozionante vedere, ad esempio, persone del Sud Italia al mare come se fossimo ad agosto in quello che invece dovrebbe essere uno dei mesi più freschi dell’anno, è possibile rendersi conto, fermandosi a riflettere, che quello che c’è “dietro” è preoccupante e molto più grande di quel che sembra.
Lo stato di emergenza climatica è ormai noto così come è sempre più presente (a volte “ingombrante”) il nuovo attivismo per il cambiamento climatico. Un attivismo emotivo, che combina scienza ed emozione e cerca di sensibilizzare ad un cambiamento che possa condurre ad una risoluzione.
Negli ultimi tempi, però, particolari manifestazioni per il clima hanno catturato l’attenzione di tutto il mondo. Non è soltanto un invito a cercare una soluzione al problema ma è una esortazione ad essere arrabbiati e nel panico, a svegliarsi prima che sia troppo tardi.
Da qui, infatti, la recente “moda” di imbrattare quadri di fama mondiale per sensibilizzare. Ma tutto questo serve davvero a qualcosa?
Le proteste dilagano ormai in tutto il mondo e sono sempre più frequenti ma particolare attenzione hanno suscitato gli attivisti del movimento Just Stop Oil (si tratta di un movimento anglosassone che, come è abbastanza chiaro già dal nome, vorrebbe la cessazione dell’utilizzo di combustibili fossili): prima una delle versioni dei “Girasoli” di Van Gogh, che è stata imbrattata con zuppa di pomodoro lanciata sul vetro protettivo, poi una torta sulla faccia di cera di re Carlo III al Madame Tussauds, non propriamente un’opera d’arte, ma con la sua simbologia.
Non sono però solo le azioni nei confronti di opere d’arte ad aver reso noto il movimento. Già in aprile gli attivisti avevano bloccato distributori di carburante, strade, petroliere e impianti petroliferi causando dei cali di distribuzione in diverse aree dell’Inghilterra fino al 40%. Tra le proteste più recenti, ancora, non solo l’arte è stata attaccata dal movimento ma gli attivisti si sono dedicati anche alle vetrine di Harrods, il famoso grande magazzino londinese di lusso.
Questo uno dei movimenti attivisti più popolari, ma non l’unico.
In Italia, per esempio, nelle ultime settimane si sente parlare spesso del gruppo Ultima Generazione. Proprio pochi giorni fa i suoi attivisti hanno bloccato nuovamente il traffico a Roma per ore impedendo alle persone di recarsi al lavoro o, ancora, impedendo un corretto e rapido svolgimento di operazioni essenziali come, ad esempio, quelle di primo soccorso.
Ora non credo sia giusto domandarsi se l’arte o la possibilità di percorrere le strade senza “intoppo” siano più importanti del clima e dell’emergenza climatica. Credo piuttosto sia adatto chiedersi: è sufficiente imbrattare un’opera d’arte o bloccare il traffico per sensibilizzare sul riscaldamento globale? Se l’obiettivo era quello di attirare l’attenzione sulle loro azioni, imbrattare i Girasoli o fermare città intere occupando le strade ha senza dubbio funzionato. Ma le reazioni sono polarizzate (anche tra gli stessi ambientalisti), tra chi li sostiene e chi ritiene che si tratti di un metodo fallimentare per l’intero movimento di lotta alla crisi climatica. Il rischio è che queste azioni non finiranno per aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sul riscaldamento globale. Nella migliore delle ipotesi spingeranno ad una maggiore sicurezza e ad un aumento dei controlli per evitare episodi del genere che sono potenzialmente in grado di creare grande disagio. Il limite tra attivismo ed atto vandalico è qui sottile. Sono numerosi i commenti di chi reputa queste persone irrispettose, nei confronti non solo dell’arte ma anche dell’altro e delle esigenze dell’altro. In sostanza: questo tipo di comunicazione rischia di far dimenticare completamente il messaggio che si intendeva veicolare. Ciò che si è visto sono azioni violente, spettacolarizzate, il così definito “attivismo da click” ma ormai annoverato tra gli atti vandalici, mette soltanto in crisi i musei, che si interrogano sul come proteggersi da tali atti (come accaduto al Museo Barberini, che ha deciso di chiudere le porte fino al 31 ottobre).
Ludovica Italiano