Il naufragio verso la normalità

 “Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.”

Ho sempre pensato che la letteratura fosse in grado di esprimere l’inesprimibile. Proprio per questo scelgo i versi conclusivi de L’Infinito di Leopardi per parlare di quello che la pandemia e il post – pandemia hanno significato per noi giovani: vi è mai capitato di trovarvi in una situazione in cui qualcosa vi impedisce di andare oltre, di guardare oltre? Vi è mai capitato di sentirvi impotenti, impossibilitati a prendere una decisione o di provare confusione e abbattimento? E a quel punto iniziate a immaginare, visualizzare ciò che c’è oltre “l’orizzonte”.

Con le parole simboliche “Io resto a casa” pronunciate dall’ex premier Conte quel fatidico 9 marzo 2020 si annunciava il lockdown totale per tutta l’Italia. Nessuno sapeva cosa avremmo dovuto affrontare e per quanto tempo e nessuno immaginava che le nostre vite sarebbero drasticamente cambiate da un momento all’altro. Il Covid ci ha “colpiti” tutti ed indistintamente ma sento di potermi e volermi fare portavoce di un gruppo sociale di cui, probabilmente, non ci si è pre – occupati abbastanza: quello dei giovani.

Unitamente alla crescita del problema della disoccupazione giovanile, provocata anche dalla situazione di stallo del lockdown e che ha aumentato in tutti ansie e forti preoccupazioni, c’è un aspetto forse troppo sottovalutato: l’incertezza, il senso di smarrimento e angoscia che abbiamo dovuto vivere soli con noi stessi. Per la prima volta in un mondo di cui abbiamo sperimentato l’iperconnessione sin dalla nostra nascita ci siamo trovati costretti a vivere la solitudine nella sua accezione più negativa: il nostro “spazio fisico” si è notevolente ridotto, siamo stati “privati” dei nostri luoghi, della possibilità di frequentare scuole, università e centri sportivi; sono venute meno anche le piccole cose, quelle spesso date per scontate, come la possibilità di ricevere un abbraccio di conforto da un amico, il “banale” caffè al bar sotto casa o il festeggiamento di un compleanno.

Credo che la piena consapevolezza della grandezza di queste cose “normali” sia stata raggiunta soltanto adesso: quando nella nostra vita ci troviamo in situazioni di malessere, dinanzi ad un ostacolo (che per Leopardi, ne L’Infinito, è la siepe),  siamo indotti a spaziare. Visualizzare ci aiuta in questo, ci permette di “vedere” e di
“vederci” in quel mare infinito di possibilità, di nuovi punti di vista per noi, e di provare dolcezza e serenità nel “naufragar” in esso, nel riscoprirci sotto una diversa prospettiva.  “Visualizziamo” un obiettivo per contrastare una situazione di disagio che ci limita. Infatti è stato proprio questo “naufragar” nella immaginazione di quella che era e che è sempre stata la normalità che, con il tempo, ha costituito e costituisce la cifra distintiva della frenesia di questo periodo: la principale esigenza di noi giovani è adesso tornare a vivere. Ripopolare strade, bar, locali. “Riconquistare” il nostro spazio, anche e specialmente scuole ed università che sono il fulcro della nostra crescita personale ed umana nonché il luogo in cui, buona parte delle volte, si costruiscono e si vivono  rapporti fondamentali, quelli che, si spera, ci porteremo per la vita. Così diventa fondamentale, se non indispensabile, seguire in presenza i corsi in università, anche dovendo affrontare ogni mattina un lungo viaggio per non rinunciare alla bellezza di condividere una lezione in compagnia degli amici. Siamo alla ricerca quasi spasmodica di situazioni nuove. Desideriamo conoscere ed essere conosciuti. Stiamo cercando di recuperare il tempo perso per il venir meno di occasioni ed opportunità relazionali ed affettive. Vogliamo riscoprire emozioni che, per mesi, abbiamo dimenticato e lasciare da parte quella aridità che ci ha contraddistinti per troppo tempo.

“Ripiombare” nel mondo dopo una pandemia mondiale è tutt’altro che semplice e a tratti forse spaventa anche perché se è “dolce” naufragar nel mare della immaginazione, quando si ha di fronte a sé una visione limitata dell’orizzonte ostacolata da una siepe sulla cima del “caro colle”, certamente intimorisce di più vivere in prima persona questo naufragio e non essere più “protetti” dal filtro della siepe che, per quanto limitante, rappresentava certezza nell’incertezza. Per un periodo abbiamo solo potuto immaginare cosa potesse essere il mondo e paradossalmente questo, nel nostro limite, ci dava pace perché ci eravamo spaventosamente abituati. La vera sfida è adesso: il mondo va avanti, non si è mai fermato. Il tempo perso non si recupera ma noi possiamo reinventarci e ricostruirci dando un senso a quello che vivremo e a quello che, gioco o forza, non abbiamo potuto vivere.

Ludovica Italiano

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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