«Abbiamo fatto la differenza… almeno lo spero» con queste parole il premier Mario Draghi commenta il lavoro dell’ultima sessione del G20 avuto luogo a Roma tra il 30 e il 31 ottobre. Parole caute quelle usate dal premier, in merito all’esito del summit sul cambiamento climatico. Il disincantato realismo del primo ministro italiano, tuttavia, non frena lo stesso da definire un «successo» il fatto di aver riempito di sostanza quel bla bla bla di cui Greta Thunberg aveva accusato i politici, nella loro strutturale tendenza a parlare molto ma a realizzare ben poco.
«Non è stato facile raggiungere questo accordo. Sul clima per la prima volta i Paesi G20 si sono impegnati a mantenere a portata di mano l’obiettivo di contenere il surriscaldamento sotto i 1,5 gradi con azioni immediate e impegni a medio termine e soprattutto l’impegno a piantare sulla terra mille miliardi di alberi, una quantità necessaria per assorbire l’anidride carbonica generata dall’uomo. Anche sul carbone i finanziamenti pubblici non andranno oltre la fine di quest’anno. Questo vertice mi rende fiducioso per la capacità che il G20 sembra aver ritrovato di affrontare le sfide epocali esistenziali, dal Covid al clima. Ora dobbiamo mostrare credibilità attuando le promesse fatte» ha commentato Mario Draghi. Al ritmo attuale la temperatura mondiale dovrebbe salire di circa 2,7 gradi. Da qui la realistica proposta del summit di contenere l’alzamento della temperatura intorno agli 1,5 gradi, tentando di ridurre del 45% le emissioni carboniche entro il 2030, e di raggiungere, per Usa e Ue lo stato di emissione 0, entro il 2050. Diverso è il caso della Russia e della Cina, la qui partecipazione, per quanto difficoltosa, ha rappresentato il vero successo di questo G20. I due colossi orientali hanno promesso di giungere allo stato di emissione 0, ovvero l’equilibrio tra le emissioni di C02 prodotte e quelle in grado di essere smaltite dall’atmosfera, entro il 2060. Un passo avanti, dunque, ma di certo non ancora una svolta. «Si tratta di economie nazionali in concorrenza fra di loro» ha ricordato Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica, sottolineando in tal modo le diverse prospettive e priorità economiche dei vari paesi e le sincere difficoltà che alcuni di questi dovranno affrontare nella obbligata marcia al cambiamento. «Quando come in Cina produci la metà dell’acciaio mondiale con centrali a carbone bisogna essere comprensivi, non è affatto facile una transizione ecologica rapida» ha commentato il premier italiano. «Multilateralismo» ed «empatia politica» sono quindi diventati i termini chiave per capire in che modo le 20 più grandi potenze mondiali hanno deciso di gestire la propria collaborazione nell’affrontare la guerra al cambiamento climatico.
La Cop26: Nucleare e transizione green, le vie del futuro
Naturale proseguimento del summit del G20 è l’evento in corso a Glasgow che prende il nome di Cop26. La ventiseiesima edizione della Conferenza delle parti, posta sotto la presidenza britannica, prosegue la discussione del cambiamento climatico attraverso una serie di incontri previsti nella città scozzese dal 31 ottobre al 12 novembre. «Nella mia vita ho assistito ad un terribile declino. Nella vostra potreste assistere ad una splendida ripresa» parole piene di speranza e fiducia giungono dal podio della Cop26 dal grande naturalista David Attenborough. Il famoso documentarista ha invitato i leader mondiali a rispondere alla sfida dei nostri giorni: dare avvio ad una nuova rivoluzione industriale, dai tratti più equi e solidali, sorretta da una tecnologia sostenibile. «Le persone in vita ora e la generazione futura guarderanno a questa conferenza e prenderanno in considerazione una cosa: quel numero, la concentrazione di CO2 atmosferica, ha smesso di aumentare e ha iniziato a diminuire a causa degli impegni presi qui? Ci sono tutte le ragioni per credere che la risposta possa essere sì» ha sostenuto Attenborough, ricordando ai leader mondiali che il loro lavoro non deve essere fatto sotto il peso della «paura», ma nel nome della «speranza». È in virtù di questa speranza che la riunione dei principali leader mondiali cerca nuove strade percorrribili per una transizione green dei nostri sistemi socioeconomici.
Punto fondamentale in questo processo di transizione è l’adeguamento del processo di produzione di energia elettrica, ad oggi prodotta per la maggior parte dalla combustione dei carbonati fossili, da cui dipendono le maggiori emissioni di anidride carbonica nell’aria. Una transizione in tal senso non può che passare attraverso l’impiego delle rinnovabili e anche dell’atomo. Di questo avviso sono infatti molti politici, soprattutto francesi, presenti alla Cop26, che tornano a presentare il nucleare come una delle alternative più promettenti fra quelle appetibili. «Oggi non è realistico raggiungere i principali obiettivi che si è posta l’Ue solo con le rinnovabili. – ha commentato in Scozia il premier Draghi – Ce lo hanno detto la Commissione, le Nazioni Unite. Bisogna fare molte più cose». In attesa che la commissione europea dell’energia stipuli una tassonomia Green atta a stabilire i leciti processi di transizione, anche la commissaria europea Kadri Simson ha ricordato della necessita di affiancare alle rinnovabili «fonti stabili» obbligatorie durante il processo di transizione: «sia il gas che il nucleare sono fonti di cui la Commissione tratterà nell’atto delegato» ha dichiarato la commissaria. Nel frattempo, l’Italia ha firmato lo stop previsto dal prossimo anno per gli incentivi sulle fonti fossile ed entra come «capofila», secondo le parole del ministro della transizione ecologica Cigolini, nella Global Energy Alliance for People and Planet. Il programma, che nasce nell’ambito della Cop26, vede la collaborazione di pubblico e privato per l’instaurazione di un fondo da 100 miliardi (per ora solo 10) al fine di accelerare processi di transizione energetica e creare nuovi posti di lavoro legati alla lotta ambientale nei paesi più deboli. Ikea, Amazon, Global Energy Alliance, la Fondazione Rockfeller e la US International Development Finance Corporation sono solo alcuni dei giganti finanziari privati che hanno deciso di entrare nel fondo, in quella commistione di pubblico e privato tante voluta e proposta da Draghi. «La direzione del fondo – dice Cingolani – è molto chiara: serve uno sforzo globale che, oltre ad aiutare i Paesi nella transizione climatica, combatta le disuguaglianze territoriali e individui tecnologie nuove per andare più veloci, altrimenti è difficile riuscire negli obiettivi con le tecnologie attuali».
Il palcoscenico di Glasgow, i Windsor sono sempre più green.
Se non all’ambiente, di certo avrà giovato alla popolarità, la partecipazione dei membri principali della famiglia reale britannica, la cui fama era stata di recente macchiata dal dissidio con Harry e Meghan, ad uno degli eventi più importanti del pianeta, svoltosi proprio in casa loro.
La regina Elisabetta, costretta dai medici a non partecipare al summit di Glasgow, non ha tuttavia perso l’occasione di far sentire la sua imponente autorità. In un videomessaggio, all’apertura della conferenza, ha invitato i leader lì riuniti a «mettere da parte questioni politiche e fare finalmente gli statisti». La stessa sovrana ha ricordato con commozione la passione per l’ambiente del suo compianto consorte, il principe Filippo, ereditata dal primogenito Carlo e dal principe William. «Dobbiamo agire non per noi stessi ma per i nostri figli e nipoti» ha aggiunto la regina nel videomessaggio, concluso con una nota di ottimismo: «La storia ci dimostra che quando si è uniti da una causa comune c’è sempre spazio per la speranza». Noto è da tutti, infatti, l’impegno profuso dalla Royal Family sulle questioni legate alla salvaguardia ambientale. Anche Kate Middleton si è presentata alla Cop26 sfoggiando un vestito da capo scout, corpo del quale è madrina dal 2020, sostenendo la campagna #PromiseToThePlanet campaign.
Daniele De Camillis